Al ristorante del Partito Comunista?
Una nebbia fitta avvolge Pechino, creando un irreale alone di mistero. Anche la ricerca del ristorante del Partito Comunista Cinese sembra scontrarsi con qualcosa di impenetrabile. In questo estratto di My Little China girl, Giuseppe Culicchia racconta il tentativo di avvicinamento a questa entità culinaria misteriosa.
Dopo svariate ore passate nella Città Proibita, sotto il sole e nella nebbia della Città Proibita, ho una caduta verticale degli zuccheri. Ora che ci penso, dato che ero di corsa non ho nemmeno fatto colazione. Lo dico a Calla.
«Oh, celto», mi fa lei, controllando l’orologio. «Del lesto, olmai è ola di planzo. Oggi la poltelò in un listolante calattelistico pechinese.»
Bene, penso. Poi mi viene in mente che da quanto mi è parso di capire leggendo qua e là la mia guida turistica, il ristorante del Partito Comunista non dovrebbe essere tanto lontano da qui.
«Senta Carla, per quel che ne so non siamo così distanti dal ristorante che le dicevo.»
Lei mi squadra per l’ennesima volta. Si morde le labbra. Poi mi fa: «Quale listolante?» Uhm.
«Il ristorante del Partito Comunista Cinese, ricorda? »
«Listolante di Paltito Comunista Cinese non esiste. »
Dato che ci tengo davvero e che come segno zodiacale sono del Toro, non demordo. In fin dei conti mica le sto chiedendo di rivelarmi su quali obiettivi sono puntati i missili nucleari intercontinentali dell’Esercito della Repubblica Popolare. E nemmeno di svelarmi da quale palazzo operano gli hacker al servizio del governo cinese.
«Ma sulla guida turistica c’è scritto che esiste, e che è aperto a tutti.»
Lei tira dritto. «Non conosco nessun listolante del Paltito Comunista Cinese.»
Così, anziché nel ristorante del Partito Comunista Cinese, la mia guida mi porta in un posto che non so se si possa definire esattamente caratteristico e che però è incredibile, il Made in China, dove sediamo a uno dei tavoli disposti a scacchiera… nel bel mezzo della cucina! Pareti di vetro separano ogni tavolo dalla cucina medesima, riparandoci dagli odori e dal fumo prodotto dal lucente pentolame manovrato con grande perizia dal cuoco e dai suoi aiutanti, vero e proprio spettacolo culinario ma anche acrobatico, in linea con i palinsesti delle tivù occidentali ovvero con l’idea del cibo come intrattenimento prima che come nutrimento e dunque devo ammettere perfetto per portarci a pranzo un italiano. Ed è qui che alla faccia della Lunga Marcia e della Rivoluzione Culturale assaggio una lussuosissima anatra laccata, davvero deliziosa nella sua pelle croccante.
I pancake che l’accompagnano ci vengono portati in un cesto di bambù. E naturalmente mentre mangio mi ritrovo subito a parlare di cibo, come tutti gli italiani. E dato che da quello che vedo attraverso i vetri non mi pare che il cuoco e i suoi aiutanti stiano friggendo alcunché, la cosa mi stupisce, perciò dico alla mia guida: «Strano, da quel che vedo né il cuoco né i suoi aiutanti stanno friggendo alcunché, in questo momento. »
«Pelché stlano?»
«Beh, perché da noi in Italia i ristoranti cinesi friggono tutto, anche il gelato.»
«Lo so, me lo ha sclitto Calla. L’altla Calla. È una cosa che fanno solo pel voi», mi fa lei, scuotendo la testa. «Da noi non si usa.»
Resto con un pezzo di anatra laccata a mezz’aria, e a bocca aperta.
«Come, non si usa?»
«Cledo dipenda dal fatto che voi italiani pensate che noi cinesi fliggiamo tutto. Allola visto che voi vi aspettate che in un listolante cinese si fligga tutto, i listolatoli cinesi vi fliggono tutto. Ma qui in Cina noi non fl iggiamo tutto.» Non ci posso credere.
«Quindi lei mi sta dicendo seriamente… che voi qui in Cina non friggete tutto?»
«Il flitto fa male, non lo sa?»
Giuseppe Culicchia, My Little China Girl © EDT 2015