Il salmone di Ian Anderson

Il salmone di Ian Anderson

A Londra padre e figlia si concedono una puntata in uno dei locali simbolo del food londinese. E così li ritroviamo seduti al North Sea Fish in Leigh Street, dove davanti davanti a un menu tutto pesce e fish&chips nel papà affiorano, inevitabilmente, i ricordi. Tra Progressive Rock e salmone, ovviamente.

 

Ora dobbiamo correre: oggi andiamo a mangiare nel miglior fish&chips di Londra. O almeno per tale ce l’hanno spacciato degli amici che qui ci abitano: sto parlando di North Sea Fish in Leigh Street. Non è lontano dalla stazione di St. Pancras e la cosa che mi piace subito è che sulla strada si affacciano sia un take away – un lindo bugigattolo con bancone e pareti piastrellate in bianco – sia l’ingresso del ristorante vero e proprio. Qui, scoprirò poi, le attività sono iniziate nel 1977 con il solo bugigattolo e poi, negli anni ’80, è cominciata anche la storia del ristorante, ampliato in due passaggi successivi. Bene, se non sarà il migliore di certo mi scalda molto il cuore. Che bellezza! I tavoli di legno scuro, le sedie in tinta e poi le panche imbottite, stesso legno a pannelli sulle pareti ornate con stampe di scene di mare, il menù plastificato, persino l’odore di fritto nell’aria: tutto questo contribuisce al british decor che più mi è familiare e amo, quello degli anni ’60 e ’70.

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E così, sotto l’effetto dell’alcol mi lascio andare. Brandendo un pezzo di salmone infilzato nella forchetta racconto a mia figlia di quando Ian Anderson – leader, voce e flauto dei Jethro Tull – tra gli anni ’80e ’90 è stato proprietario di un allevamento di salmoni in Scozia, a Strathaird, sull’isola di Skye. Un allevamento dove era arrivato a impiegare fino a 400 persone, con un giro d’affari superiore a dieci milioni di sterline l’anno, in stabilimenti in cui oltre alla vendita di pesce fresco facevano anche salmone in scatola e salmone affumicato.

E le confesso pure che io, durante un soggiorno di ricerca in un laboratorio scozzese all’Università di Sterling, al colmo del mio feticismo progressive avevo comprato al supermercato Tesco una scatoletta di salmone Strathaird, con sull’etichetta il ritratto di un marinaio che tanto tanto somigliava a Ian Anderson, e che avevo conservato la scatoletta per due anni come una reliquia, portandola con me a Pisa durante il periodo di dottorato insieme ai dischi dei Jethro Tull, il gruppo che, con i Caravan, è in assoluto il mio preferito.

E, a Pisa, quella scatoletta-feticcio con il salmone di Ian Anderson l’avevo rimirata con orgoglio ogni singola giornata fino a quando un deficiente di mio amico da Pavia che avevo ospitato per qualche giorno, mentre io ero in università a lavorare, l’aveva aperta e se l’era mangiata per pranzo. Perché, sosteneva il cretino, alla data di scadenza mancavano solo due settimane e poi si sarebbe dovuta buttare.

Francesca mi fissa con quella che diresti una profonda pietà.

«Sì papi» annuisce. Poi guarda l’orologio: «È l’una e mezza.»

Mi mostra il quadrante, ci picchietta sopra l’indice.

«Vedi papi? Una. E mezza. Tardi. Mi segui papi? Ora dobbiamo andare.»

 

A Londra con mia figlia (e Harry Styles), di Piersandro Pallavicini © EDT 2017, collana Allacarta