Bolle di sapone: un estratto
Le storie più splendide me le racconta il mio amico vento. La gente in vero dice che siano diversi venti. Ma io so che ce n’è uno solo. Soffia da est a ovest e da ovest a est; da nord a sud e viceversa. Vede molte cose belle e molte brutte, molte cose allegre e molte tristi. E talvolta bussa alla mia finestra di notte e mi racconta delle storie:
“Stavo accompagnando un treno. Ora gli soffiavo davanti, ora dietro. E giocavo a palla con le scintille della sua locomotiva. E di tanto in tanto guardavo dentro i finestrini. C’erano soldati feriti. Alcuni fumavano e chiacchieravano, altri se ne stavano lì muti e rassegnati al loro destino. In uno scompartimento c’era un ragazzo. I capelli biondi e crespi gli scendevano sulla fronte pallida. Era in fin di vita. Respirava a fatica. E i suoi occhi leali di un azzurro intenso avevano uno sguardo opaco e spento. Nel petto una ferita d’arma da fuoco – condannato a morire.
Il treno si fermò in una piccola stazione. Di guardia c’era un anziano soldato di infimo grado. I feriti furono scaricati dai vagoni. L’uomo di sentinella volse lo sguardo verso quel soldato malato. Poi – un grido. Era un gemito. E corse verso quel biondo ragazzo moribondo. E guardò dapprima sconvolto e poi indicibilmente triste gli occhi di suo figlio che si stavano spegnendo. Io mi diedi da fare in quella stazioncina. Sollevai in un mulinello qualche pezzo di carta. E osservai padre e figlio. Si guardavano muti. Per una lunga breve pausa. Poi quel ragazzo fece ancora un sospiro profondo. «Papà!» disse in un soffio – e spirò.
Lo portarono via. Il vecchio rimase lì attonito e immobile con il suo fucile. Io gli gonfiai il pastrano e sbuffai forte sul suo volto impietrito. E gli soffiai via due lacrime – due lucenti lacrime di padre...
Conoscevo due tipi: un cacciatore e il suo cane. Li incontravo spesso nel bosco. Erano fedeli l’uno all’altro. Erano amici inseparabili. Io soffiavo su un campo di battaglia polacco. Sopra molte migliaia di cadaveri. E riconobbi quel cacciatore. Era morto.
Nel bosco il cane lo andava cercando. Quello non sa nulla di patria e di morte eroica.
Cercava il suo padrone...
Ero in una cittadina tedesca. Dove ci sono angoli appartati e fontane mormoranti. Dove la luna sbircia dentro viuzze sopra frontoni sghembi. Dove ci sono graziosi balconi con lunghe barbe pendule di vite selvatica. Dove da ogni nicchia giunge il profumo della lavanda e vibra il suono del corno della ronda di notte...
Mi misi a guardare attraverso la finestra dentro un lindo tinello tedesco. Il padre se ne stava lì seduto. La croce di ferro gli ornava il petto. Aveva il braccio infilato in una fascia. Stava raccontando qualcosa. La nonna e la giovane madre ascoltavano. Una figlioletta, seduta sulle sue ginocchia, lo osservava con riverenza. Uno soltanto non era rivolto verso di lui: il suo ragazzino. Questi vibrava con fragore la pesante sciabola del padre, la librava nelle sue mani grassocce e urlava: Sono un soldato! Sono un soldato!
In una strada sporca di una cittadina polacca sollevai un mulinello di polvere. Dinanzi alla porta di una vecchia casetta semidiroccata c’erano donne che si lamentavano e cosacchi che bestemmiavano in modo selvaggio. Un ebreo dal lungo cappotto e dalla barba grigia pendeva da una forca approntata di fresco.
In una ricca città moscovita guardai attraverso le finestre di una casa elegante. C’erano alcuni studiosi russi raccolti che bevevano vino francese. Mi misi in ascolto: protestavano contro i barbari tedeschi...
Nei Vosgi, nel mezzo della solitudine del bosco al crepuscolo, la tomba di un eroe. Sopra una croce di legno e sulla croce un elmo. Avevano seppellito lì un cantante tedesco.
Un uccello volò da un ramo, si posò su quell’elmo tedesco chiodato e si mise a cinguettare con giubilo un canto di vittoria...
Due ragazze conoscevo. Amavano entrambe lo stesso giovane. Lui era bello, fiero e forte. Quando partì per la guerra, piansero entrambe.
Litigavano ogni volta che arrivava una sua lettera. Qualche tempo fa lessero il suo nome. È morto. Ora sono amiche. Per intere notti rimangono insieme a raccontarsi storie – che riguardano lui...
Attorno all’antico maniero degli Dei del Walhalla andai mugghiando un canto possente. Dentro c’erano gli eroi tedeschi seduti a tavola. Accanto a Sigfrido, l’uccisore del drago, e a Dietrich von Bern, c’erano Federico il Grande, Bismarck e Moltke. Sul tavolo una carta geografica dello stato maggiore. Con rispettoso stupore la osservavano Sigfrido e Dietrich. Moltke vi indicava qualche punto qua e là e teneva un discorso. Parlavano di Hindenburg. Federico il Vecchio taceva. Si limitò a sniffare un po’ di tabacco e alla fine borbottò: «Hm, niente male».
Mi piaceva quel ragazzo biondo dagli occhi azzurri. Mi divertivo ad accompagnarlo a scuola, a fargli volar via il berretto dalla testa e a passare fra i suoi morbidi capelli ondulati. Era l’unico figlio di una vedova e il preferito a scuola. Con il cuore gonfio lo si lasciò partire per la guerra.
Io stavo soffiando su un campo di battaglia. Sopra molti cadaveri. Tedeschi e francesi. Era la sera dopo una battaglia. Un raggio di sole dorato guizzò sopra quei cadaveri, si scelse un giovane pallido e si posò su di lui.
Era il mio amico. Ancora una volta passai fra i suoi morbidi capelli. Un albero nelle vicinanze aveva ancora qualche foglia appassita. Allora soffiai nella sua chioma e feci scendere tutto quel fogliame frusciante sopra il mio giovane amico.
Ieri mi recai nella sua città natale. Attraverso le finestre guardai dentro casa sua. Sua madre era seduta a scrivere. La lampada ardeva immobile nell’intimità. Mi feci piccolo fino a diventare un venticello minuscolo ed entrai in quella stanza attraverso una fessura della finestra. Passai sul foglio di carta su cui quella madre stava scrivendo. “Mio caro figliolo!” – c’era scritto...
Spensi di colpo quella lampada. La povera donna si spaventò e puntò lo sguardo muto dentro le tenebre...” (1915)