Il gioco della musica sul serio

Il gioco della musica sul serio

Lo strumentario didattico a barre intonate è certamente una delle più fortunate "invenzioni" orffiane ed è oggi più che mai diffuso malgrado sia stato spesso ritenuto superato, soprattutto con l'avvento della strumentazione elettronica.

Alla quale si è talvolta connesso il sogno mercantile e anti-pedagogico di "una tastiera per ogni allievo": cioè dello strumento uguale per tutti (tastiera, clavietta, flauto dolce o violino che sia) sul quale imparare collettivamente a eseguire le medesime melodie o musiche.

Una prassi didattica radicalmente opposta a quella della linea pedagogica orffiana in quanto massificante e tendente all'omologazione invece che collettiva e socializzante. Tuttavia ancora oggi, nella quasi totalità di casi, l'insieme delle barre è inteso come una strumentazione autosufficiente e ad hoc per l'elaborazione o l'esecuzione di musiche specifiche, nate per esso e su di esso.

Musiche che, stante la geniale innovazione della estraibilità delle barre dal corpo dello strumento, consentono un livello d'approccio elementarissimo e una evoluzione graduale della conoscenza e della pratica melodica e armonica. Estraendo dal risonatore le barre non funzionali al tipo di elaborazione musicale via via voluta (dai più semplici bordoni d'accompagnamento di due sole note fino all'uso pentatonico, modale e tonale) vengono visualizzati chiaramente rapporti intervallici e segmenti scalari in un modo altrimenti difficilmente individuabile per un bambino entro la indistinta struttura delle scala diatonica. In tal modo si procede ad una sorta di "disvelamento" progressivo del sistema diatonico in modo però (almeno così io lo percepivo) ancora vagamente "accademico".

È proprio da questo che nasce la mia idea di approccio allo strumentario Orff, non a caso all'epoca della scoperta dei "giochi sonori" in ambito educativo musicale. Mi riferisco - per quanto mi riguarda - agli anni Settanta, quando comincia a diffondersi l'idea di un approccio didattico alla musica fondato su un'esperienza ludica e sperimentale che escluda qualsiasi preventivo nozionismo o un tipo di percorso accademico: esplorare i suoni dell'ambiente, i suoni degli oggetti, i suoni del corpo, dare spazio all'improvvisazione e a forme di elaborazione "compositiva" informale o combinatoria per ricavare da tali esperienze competenze e cognizioni. L'interrogativo che mi si pose nacque da una osservazione: i "giochi sonori" riguardanti gradazioni di timbri e colori sonori, spazi di suono e silenzio, volumi di pesi e dinamiche, si arrestavano inermi nel momento di passare ad una formalizzazione sistemica riguardante ritmi, altezze, intervalli e armonie in termini di teoria e notazione.

Giunti a quel bivio, rispuntava fuori - tanto per prenderne uno a caso - il "Bona" e la concezione solfeggistica dell'apprendimento musicale, come a dire: ragazzi, fino ad ora abbiamo "giocato" ma quando si passa alla Musica con la maiuscola, è inevitabile affrontarla in altro e ben più oneroso modo. In sintesi il mio interrogativo fu: possibile che non ci sia un modo per praticare una musica che si sostanzi in "giochi" anche per avviare la concettualizzazione in termini esperienziali, quanto meno dei fondamenti più essenziali del nostro sistema?

 

Estratto dal capitolo

"Lo strumentario Orff a barre
come ambiente d'apprendimento"