Il reading poetico dell’Albert Hall
Primavera 1965. La libreria Better Books di Charing Cross Road è diretta da un giovane intraprendente, Barry Miles, che vi organizza proiezioni, conferenze, incontri a tema e, di tanto in tanto, dei reading poetici. In quei giorni Allen Ginsberg si trova a passare per Londra e si presenta in libreria: gli ha dato l'indirizzo Ed Sanders, libraio di New York con il quale Miles collabora. Viene organizzata su due piedi una lettura di poesie che richiama un foltissimo pubblico, tra cui Andy Wharol, Gerard Malanga e Edie Sedgwick.
Qualche tempo dopo Ginsberg, che nel frattempo si è stabilito a casa di Miles, annuncia che a breve arriveranno a Londra Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso. Ovviamente si pensa subito a un reading con i tre giganti della Beat Generation, ma la libreria è troppo piccola. Allora Barbara Rubin, fidanzata «saltuaria» di Ginsberg, domanda quale sia il locale più grande di Londra, e la moglie di Miles risponde «la Royal Albert Hall!». Detto fatto, la sala viene prenotata, per una cifra astronomica in rapporto alle potenzialità del gruppo, e si comincia a mettere giù il programma, che alla fine includerà quasi venti poeti da sei paesi diversi.
Sono queste le premesse del grande reading dell’11 giugno 1965 che ha segnato la nascita della scena underground londinese. Nel Capitolo XII di London Calling Barry Miles racconta come si è svolta quella memorabile serata.
La Royal Albert Hall è un’ampia sala da concerto circolare in stile vittoriano, con molti ordini di palchi, compreso un palco reale. Alcuni avevano prenotato un intero palco e si erano portati il picnic: per tutta la sera si sentiva il rumore di tappi che saltavano. In uno dei palchi le tende rimasero chiuse per tutta la serata. La gente condivise quello che aveva portato, e in molti casi era erba. Circolavano bottiglie di vino e bicchieri, con discrezione ci si passava lunghi spinelli, con spessi mazzi d’incenso a mascherarne l’odore, e la gente si trasferiva da un gruppo all’altro; era un avvenimento mondano, come un’opera edoardiana.
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Per essere un reading c’erano troppi poeti, molti dei quali non sapevano come rivolgersi a un grande pubblico, e le prove migliori furono spesso quelle dei meno noti. Ernst Jandl, Pete Brown e l’esecuzione di Michael Horovitz della poesia starnuto di Kurt Schwitter furono perfetti per l’occasione, mentre Gregory Corso, famoso per le poesie argute e gradite al pubblico come Hair o Marriage, scelse invece una lunga e riflessiva poesia nuova che lesse seduto, così che metà del pubblico ne vide solo la schiena. Le poesie di Ferlinghetti sono scritte per essere lette ad alta voce, e lui fece un lavoro eccellente, sbraitando To Fuck is to Love Again con orrore dei volontari dell’Associazione Combattenti e Reduci. Adrian Mitchell fu la star a sorpresa dello spettacolo con la sua invettiva, facilmente comprensibile, contro la guerra del Vietnam To Whom it May Concern (Tell Me Lies About Vietnam).
Il pubblico apprezzò molto anche Ernst Jandl, il poeta sonoro austriaco che, con i suoi corti capelli grigi, sembrava più uno scienziato spaziale o un tecnico addetto al montaggio del palco finché non aprì bocca e declamò le sue spiritose e universali esplosioni sonore: “...schist schleisch scheschlorden schund schat schlunter schluns scheschlohnt...” una delle quali, “schmerz durch reibung” (dolore mediante frizione) si concludeva chiaramente con un orgasmo.
Harry Fainlight non aveva mai letto prima di fronte a un pubblico così vasto e invece di scegliere qualche pezzo facile e breve decise di leggere e Spider, il resoconto di un viaggio con l’LSD, argomento che, nel 1965, era pressoché sconosciuto al novantanove per cento del suo pubblico. Nervoso, per usare un eufemismo, Harry parlava pianissimo e il pubblico non riusciva a sentire. La gente iniziò a gridare di alzare la voce, poi si mise a fischiare. Harry fece una smorfia e si contorse, prima di fermarsi stridulo a metà poesia, tra il clamore del pubblico. Il poeta olandese Simon Vinkenoog, fatto di mescalina, percependo l’ansia di Harry iniziò a intonare: “Amore! Amore! Amore!” per dirigere vibrazioni positive che aiutassero Harry e calmassero la folla. Harry fece per abbandonare il palco, poi decise che era necessario spiegare di che cosa parlasse la poesia e si voltò. Ma Trocchi [il conduttore della serata], in piena modalità accademica, era salito sul palco e ora cercava di portare via il microfono a Harry. “Grazie, Harry, mi pare che ne abbiamo tutti ascoltato abbastanza ormai”. Simon continuava a intonare: “Amore! Amore! Amore!” con gli occhi sbarrati, mentre girava intorno al palco. La cosa sembrò funzionare, e la folla si placò.
Tra il pubblico c’era il poeta russo Andrej Voznesenskij, ma un gorilla dell’ambasciata lo aveva avvertito che se avesse letto qualcosa in mezzo a quella massa di reazionari non avrebbe mai più lasciato la Russia. Gli era stato anche vietato di partecipare, e sedeva ingobbito con aria cupa mentre, piuttosto assurdamente, sia Ginsberg sia Ferlinghetti, offesi per il suo rifiuto di leggere, lo rimproveravano dal palco. Ginsberg, sobriamente vestito per l’occasione, con indosso una seriosa cravatta di lana a maglia che gli avevo prestato e che non mi avrebbe più restituito, diventava sempre più irascibile man mano che l’evento proseguiva e una schiera di quelli che secondo lui erano poeti di second’ordine salivano sul palco. Ed era sempre più ubriaco, cosa insolita per lui; in realtà il 1965 fu l’unico anno alcolico della sua vita.
Quando infine si impadronì del palco, un’ora dopo, esordì con una lettura ebbra e sciatta della traduzione che Anselm Hollo aveva fatto della poesia di Voznesenskij, The Three-Cornered Pear/ America. Buona parte del pubblico non capì la sua introduzione biascicata e pensò che la poesia fosse sua, perciò reagì male a frasi come: “Fa male signor Voznesenskij?” pensando che Allen si stesse rivolgendo al russo. Dopo che Ginsberg ebbe letto la sua poesia, Voznesenskij lasciò la sala. Stare sul palco fece passare la sbornia a Ginsberg e il resto del suo reading fu eccellente, anche se non fu quella grande occasione alla Blake che aveva sognato. Gran parte della gente non prestava attenzione; era l’evento sociale che contava. La tribù all’improvviso si era riconosciuta e ne era felice. Nessuno voleva andarsene, tutti volevano proseguire a far festa anche dopo. “Tornatevene a casa, se ne avete una” gridavano esasperati i volontari, spingendo rabbiosamente le persone lungo i corridoi.
Ginsberg era molto depresso per la propria esibizione, per le pessime poesie e per la mancata lettura di Voznesenskij. Ebbe una discussione infuocata con George Macbeth, uno dei poeti che secondo lui non avrebbe dovuto partecipare, e che si concluse con un insolito Ginsberg che gridava: “Ma vaffanculo!”.
Secondo Ginsberg era stato un disastro, ma per i giovani di Londra si era rivelato un catalizzatore: la nascita dell’underground londinese.