Joséphine Baker, i viaggi di una vita
«Joséphine viaggiò», dice Marcel Sauvage nella Premessa de La mia vita. Se si volesse riassumere in due parole non solo il libro, ma l'intera vita di Joséphine Baker, questa sarebbe una delle formule più efficaci. Dagli Stati Uniti all'Europa, dal Sud America all'Africa, l'artista ha costruito il proprio mito sulla generosità di se stessa, sulla disponibilità a esibirsi ovunque o quasi, in qualsiasi condizione.
Un avvenire davvero difficile da prevedere per una ragazza nera nata a Saint Louis, «una città grande dove fa freddo», talmente freddo che il ballo sembrava il modo più efficace per scaldarsi. La sua è stata un'infanzia durissima e triste, «cullata da storie di cimiteri»: la scuola abbandonata a otto anni, il poco tempo libero trascorso a veder danzare in un piccolo teatro, un primo viaggio a dieci anni, a Filadelfia, insieme alla nonna. Poi, la svolta: «A sedici anni ho riflettuto a lungo, ho esitato, e poi: primo, mi sono fatta tagliare i capelli; secondo, sono andata via di casa». Dopo il debutto a Filadelfia, Baker riesce a entrare in un music hall di Broadway. In breve il pubblico e la stampa cominciano ad accorgersi di lei: «Poi, un giorno, tutti gli articoli, tutti i giornali e tutte le riviste parlano di me. Ho pensato: "È fatta"».
Il passo successivo è l'Europa. Il 15 settembre 1925 Joséphine Baker lascia l'America, sentendosi «non più disperatamente sola, ma splendidamente sola». Una settimana dopo arriva a Parigi, la città che amerà più di ogni altra. Dopo tre anni di successi travolgenti («Ciò che amo del successo, monsieur Sauvage, è l’amore che c’è dentro e non tanto la sorpresa, lo stupore o perfino l’ammirazione») arriva il momento di ampliare gli orizzonti: dal 1928 al 1930 Baker visiterà venticinque paesi in due continenti.
I ricordi dell'artista restituiscono immagini dei paesi visitati straordinariamente simili a istantanee: l'Olanda è così la terra dei colori forti, il rosso, il giallo; la Scandinavia è pulita, corretta, educata; la Spagna è il paese che conosce meglio ma in qualche modo continua a sembrarle lontana; la bella e ospitale Bucarest è la città in cui tutti i cocchieri hanno l'aspetto da donna; Praga è un po' problematica, con l'abbraccio della folla che per la prima volta spaventa Baker e con un direttore d'orchestra che rischia di ucciderla costringendola a ballare al ritmo di una musica indemoniata.
Baker non si limita a regalare emozioni e meraviglia: si lascia anche rimodellare dalle impressioni innescate da città sconosciute, dai suoni di lingue nuove, dalle esperienze vissute senza intermediari. Ha pure la grande dote di non lasciarsi toccare dalle polemiche e dagli attacchi di cui viene fatta oggetto da stampa e forze politiche conservatrici. In Europa centrale, in particolare, «sono stata usata come spaventapasseri o come “bandiera” da diversi partiti politici… È allo stesso tempo buffo e triste. Ci sono state risse, botte, feriti… A Vienna hanno suonato tutte le campane a distesa per annunciare ai fedeli l’arrivo del Diavolo in persona, il demone dell’immoralità: Joséphine Baker. Vede, tutto questo non mi impedisce di recitare una preghiera ogni sera dal più profondo del mio cuore e di pregare ardentemente per tutti coloro per i quali per sempre sarò solo una povera negretta che esegue balli diabolici». Dopo i trionfi di Berlino e Amburgo sarà la volta del Sud America, tra polemiche furibonde e teatri osannanti.
Ugualmente frenetici sono gli anni della seconda guerra mondiale, che vedono Baker investita di importanti funzioni di intelligence a favore della causa alleata, dal Marocco all’Europa all’Egitto, in condizioni di salute pessime. Molti altri viaggi seguiranno nel dopoguerra, nel periodo successivo a quello preso in considerazione dal libro: anni difficili, segnati peraltro da gravissimi problemi economici. Dal 2021 Joséphine Baker è commemorata nel Panthéon di Parigi con un monumento funebre che contiene porzioni di terra provenienti da Saint Louis, da Parigi e dal Principato di Monaco, i luoghi in cui l’artista nacque, visse e fu sepolta: «Se il Panthéon» conclude Jean-Claude Bouillon-Baker nella Prefazione a La mia vita «ha richiuso le sue porte su una combattente luminosa, che ora svetta come un faro che illumina insieme ad altri il passato e il futuro, questo libro alza il sipario sulla voce unica di una delle donne più straordinarie del xx secolo».