Acido, il gusto che ci emoziona
Un viaggio nel più complesso, intrigante e sfidante dei gusti: l'acido.
Da sempre gli uomini fanno inacidire e fermentare il cibo in maniera controllata per renderlo più gustoso e intenso. E tante delle meraviglie gastronomiche italiane sono fondate sull’acidità, dall’aceto balsamico al carpione, dalla giardiniera al saor. Mark Diacono va però molto oltre sulla strada della cucina agra: esplora uno dei quattro gusti fondamentali (gli altri sono il dolce, l’amaro e il salato, cui si aggiunge l’umami) in ogni sua possibilità espressiva. Dopo aver spiegato la chimica dell’acidità e aver offerto una carrellata dei cibi acidi per natura – dall’uva spina agli agrumi – il food writer illustra tutte le preparazioni essenziali incentrate sulla fermentazione per poi giungere al corpo centrale del volume: le tante ricette che vanno dall’aperitivo al dolce fino alle bevande. Quello proposto da Diacono è un viaggio che è anche un giro del mondo: molte preparazioni prendono spunto dalle tradizioni di quei paesi in cui l’acidità è protagonista in cucina. E allora il gazpacho bianco e la zuppa di yogurt turca, la tom yam thailandese e il ceviche peruviano, il maiale vindaloo e le ostriche in salsa mignonette, il budino di lime e lo shrub allo zenzero. Un modo nuovo per aggiungere un pizzico d’acidità – o anche più – nella cucina di tutti i giorni.
Mark Diacono è un food writer di fama internazionale. Conduce le ricerche per i suoi lavori a Otter Farm, la piccola attività agricola con scuola di cucina che ha avviato con sua moglie Candida vicino a Honiton, in Inghilterra. Nel 2015 il suo A Taste of the Unespected ha vinto il premio André Simon Food Book of the Year. Acido è il suo ottavo libro.
Nonostante un’infanzia vissuta a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, consacrata all’abuso di dolci e patate sotto ogni forma e genere, sono i sapori acidi quelli che ricordo con più affetto. A scuola mi concedevo qualche piccolo momento di svago sognante masticando asprissime caramelle gommose al limone o confettini aciduli e frizzanti al rabarbaro e frutta. Dopo tutti questi anni, se chiudo gli occhi sento ancora in bocca il gusto del mio yogurt preferito.
Penso fosse un prodotto di marca St Ivel. Picchiettando con il cucchiaino su un sottilissimo strato di cioccolato color sigaro, fragile come il ghiaccio che si forma d’inverno sulle pozzanghere, si affondava in un mare acido, pungente, di un pallido color crema, proprio come le giacche e gli interni delle auto che andavano di moda all’epoca. Forse in fondo al vasetto c’era un altro strato di cioccolato, ma non potrei giurarci. Mio dio com’era buono: abbastanza acido da far pizzicare le mandibole! Tuttavia, come recita il vecchio adagio di John Shuttleworth (il personaggio creato dal comico inglese Graham Fellows), «uno era poco e due erano troppi». E vogliamo parlare delle patatine per eccellenza, quelle al sale e aceto? Dall’aceto sulle chips al succo di limone sui pancake, dai granuli che frizzano in bocca a contatto con la saliva al pompelmo (con una spolverata di zucchero sopra): cercavo l’acido ovunque.
Poi tutto è stato inghiottito da una valanga di zucchero.
Grazie al cielo, questa passione sfrenata per i dolci sta gradualmente scemando, mentre quella per l’acido conosce un periodo di grande rinascita. I consumatori più curiosi non hanno difficoltà a trovare agrumi, rabarbaro, ciliegie, tamarindo e spezie acide, e crescono anche i fedelissimi dei cibi fermentati come pane con lievito madre, kefir e kombucha, prodotti da fornai e casari sempre più attenti alla tradizione.
Mia figlia è l’inconsapevole fautrice della teoria secondo cui siamo nati per amare l’acido, ma il dolce ci ha allontanato dalla nostra vera natura. Anche lei come me è un’accanita fan del Toblerone, ma l’entusiasmo per l’acido supera ogni limite: a 13 anni adora succhiare limoni, rubarmi fettine di mela Bramley mentre preparo una torta e cercare nel frigo il kiwi più acerbo di tutti. Grazie al suo incondizionato amore per i sapori acidi, mi permette di sperimentare nuove ricette e provare nuovi piatti. Lo scorso weekend, mentre ero alla disperata ricerca di cibo nei gelidi meandri del freezer, sono stato salvato da una vaschetta di purè di uva spina, che ha inaspettatamente ribaltato la situazione. Io e mia figlia l’abbiamo spazzolata in un attimo a colpi di cucchiaini, con i nostri sorrisi impiastrati e soddisfatti. L’uva spina è un perfetto esempio di come l’acidità possa essere festosa, soprattutto se viene controbilanciata da sapori complementari, in questo caso fiori di sambuco e un goccio di miele.
Ogni cibo andrebbe acidificato in qualche modo, altrimenti a cosa servirebbero i vari ketchup, salsa piccalilli e aceto? La fettina di limone nel gin tonic, una cucchiaiata di yogurt o panna acida nel chili, un velo di aceto balsamico sulle foglie di insalata: l’acidità è intorno a noi ogni giorno. A volte non è necessaria, ma sono proprio i piccoli dettagli inutili a trasformare il nutrimento in cibo, lo sfamarsi in mangiare con gusto. L’acidità crea contrasto, equilibrio, varietà, vivacità: piacere, in una sola parola. Perché rinunciarvi?