Ballo e identità nazionale
Fino al termine dell'Ottocento il ballo teatrale svolge un ruolo culturale importante nella condivisione di pratiche e valori sociali. Lo dimostra questa ricognizione dell'influenza esercitata dal ballo grande all'italiana nella costruzione dell'identità nazionale, tratta dal capitolo L'Ottocento del volume Storia della danza italiana. Dalle origini ai giorni nostri curato da José Sasportes.
Le rivoluzioni del 1848 lasciano una traccia profonda sul sistema produttivo degli spettacoli nei maggiori teatri italiani, non solo per la riduzione del numero dei balli per stagione e per serata, ma anche per lo spostamento progressivo della danza dopo la fine dell’opera, poiché la clausola imposta da Giuseppe Verdi al noleggio delle sue partiture non ne permette la rappresentazione con l’interruzione dei balli entr’actes, mentre l’introduzione dei ballabili nell’opera resiste alla progressiva importazione dei grand opéras da Parigi, fino ad arrivare alla sintesi drammaturgica verdiana nell’opera-ballo Aida del 1872. A fine secolo l’opera arriverà a sostituire completamente i balli nel corso della serata teatrale, così da porre fine a uno dei fenomeni artistici italiani più creativi e di lunga durata.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’Imperiale e Regio Teatro alla Scala si conferma come maggiore centro produttivo, distributivo e promozionale di balli grandi all’italiana, sia per il sistema di comunicazione particolarmente fiorente che era nato intorno a esso attraverso i giornali e la pubblicistica sulla danza, sia per le agenzie teatrali sorte per gestire la circolazione nazionale e internazionale degli artisti, sia ancora soprattutto per l’impresa editoriale musicale organizzata da Giovanni Ricordi come un monopolio non solo della musica da ballo, ma anche delle scene e dei figurini teatrali, come emerge dal Catalogo stampato nel 1855 con l’elenco dei materiali noleggiabili o in vendita, fino ad arrivare alla pubblicazione delle disposizioni sceniche di singole opere di Verdi, Amilcare Ponchielli e Arrigo Boito, comprensive anche dei ballabili, sull’esempio parigino dei livrets de mise en scene destinati agli allestitori.
Un altro “stabilimento artistico” dava sempre più lustro alla capitale asburgica, l’I. R. Accademia di ballo, pépinière delle ballerine che avevano studiato con Blasis affiancando in scena le grandi stelle romantiche e che dagli anni Cinquanta conquistano le scene internazionali, a partire da Parigi, per il virtuosismo delle loro punte d’acciaio unito a una aff ascinante energia espressiva. Sofi a Fuoco (nome d’arte di Maria Brambilla, 1830-1916), Carolina Pochini (1836-1901), Claudina Cucchi (1838-1913), insieme con le allieve della scuola privata di Blasis, Carolina Rosati (1826-1905) e Amalia Ferraris (1830-1904), incarnano le immagini pi. popolari dell’epoca: la Caterina figlia del bandito della Fuoco "palesava una potenza mimica impressionante. Non era esagerazione il dire che le sue braccia e le sue mani avevano il dono della parola", mentre La giocoliera (Milano, 1857) della Pochini era "ricca di seduzione e di slancio, con pose degne di scalpello e movenze leggiadre […].
La passione copriva l’arte e chi la vedeva non poteva fare a meno di credere che il cuore non regolasse il ritmo della sua danza". Questo "gran ballo romantico", coreografato dal milanese Pasquale Borri (1820-84) per le scene viennesi, viene ripreso a Venezia con uno spettacolare lieto fine celebrato dall’eruzione del Vesuvio. Soprattutto nell’adattamento ai gusti del pubblico scaligero si riconoscono sia i tradizionali “affetti diversi” sia i nuovi virtuosismi della danse d’école, assimiliati e rielaborati dinamicamente per conservare quella spettacolarità stupefacente in grado di attirare in teatro le classi sociali emergenti.
dal capitolo L'Ottocento
del volume
Storia della danza italia
Dalle origini ai giorni nostri
© EDT 2011