Django a New York
La storia di una delle più famose foto del grande musicista zingaro.
La città di New York gli sorse intorno come una fantasia. I grattacieli erano castelli dell'era moderna, mura d'acciaio, mattoni e vetro che si slanciavano verso il cielo. Come in un bebop che avesse preso vita, le strade risuonavano di un intrecciarsi di richiami di venditori ambulanti e sirene della polizia, fischi idraulici, stridio di freni, e tutta la musica dei macchinari. Dovunque guardasse c'erano queste grandiose macchine americane che lo facevano impazzire. E ogni volta che si girava c'erano donne americane che lo colpivano come tante piccole stelle di Hollywood che camminavano sui marciapiedi.
Parigi era la capitale della Belle Époque, New York correva a perdifiato per prendere il suo posto come la metropoli del nuovo secolo. New York era più grande, più alta e più veloce e parlava più forte di Parigi. Era modernistique. A Parigi bisognava aspettare a lungo perché un pasto venisse cotto e servito in una brasserie; a New York, era lì pronto appena ordinato, spinto da una mano invisibile attraverso i luccicanti compartimenti metallici di un automat [distributori di pasti a moneta, N.d.C.]. C'erano ascensori a spedirti veloce negli attici in mezzo alle nuvole, e scale mobili per arrivare nelle profondità dei sottopassaggi.
Parigi era la favolosa Ville Lumière, ma le entrate dei teatri intorno a Times Square avevano luci più grandi e più brillanti. E mentre Parigi portava le ferite della guerra ed era in bancarotta, la ricchezza di New York era in bella mostra ovunque lui guardasse. Era tutto quello che aveva immaginato, e ancora di più. Ma arrivando a New York, Django aveva una sola richiesta urgente: «Dov'è Dizzy Gillespie?». Gli fu detto che Gillespie era andato a suonare a Baltimora e Django era pronto a lasciar perdere tutto e partire per andare a suonare con lui. Impetuoso fino all'eccesso, Django sembrava aver dimenticato tutto sui programmi del suo tour con Ellington. Ma gli appassionati americani di jazz non avevano dimenticato. Il debutto di Django con Ellington era annunciato con ansiosa attenzione grazie alle notizie circolate su «Down Beat».
I due principali magazine americani di attualità «Time» e «Newsweek» fecero a gara nel lodare Django. La sua storia era adatta per diventare un buon pezzo: il fatto che fosse uno zingaro ispirava idee romantiche ai reporter delle grandi città, e la sua mitica rinascita dopo l'incendio del carrozzone che gli aveva lasciato due sole dita capaci di premere le corde della sua chitarra, l'aveva trasformato in un mostruoso genio. La sintesi biografica del «Time» era una vera favola: «Django Reinhardt, oggi di 36 anni, è uno zingaro scuro di carnagione e quasi del tutto analfabeta che, nato in una roulotte (carrozzone), solo recentemente ha ceduto all'idea di vivere in una casa. [...] Django ha sviluppato uno stile in cui suona la chitarra con un solo dito perché la sua mano sinistra è stata malamente bruciata da un incendio ed è diventata inutile per gli accordi [sic]».
«Time» prese in giro anche Naguine, segnalando che Django aveva lasciato a Parigi la sua «moglie zingara di oltre cento chili». «Newsweek» era ugualmente affascinato dall'aura di Django: «Secondo la leggenda, preferisce vivere all'aperto in un carrozzone circondato da una moltitudine di "cugini" zingari, ma a New York City sembrava contento della lussuosa Hampshire House a Central Park South. Non parla quasi per nulla l'inglese, ma anche in francese è una persona che si limita a rispondere alle domande dirette».
Malgrado battute razziste e "cose" false, qualsiasi pubblicità era comunque una buona pubblicità. Il 30 ottobre, il giorno dopo il suo arrivo, Django incontrò Ellington mentre la sua orchestra stava finendo un ingaggio di due mesi all'elegante night Aquarium. La carriera di Ellington volava alto. Con una popolarità costruita nei suoi anni al celebre Cotton Club, in quel momento girava il mondo con un'orchestra di diciassette elementi, sostenuto dai diritti delle sue composizioni, mentre la maggior parte delle big band avevano da tempo fatto bancarotta. L'orchestra di Ellington era forse la migliore big band del jazz, con le sue composizioni originali, i suoi arrangiamenti perfettamente organizzati, e i suoi grandi musicisti che suonavano assoli mozzafiato.
Al centro di tutto stava lui: bello, elegante, brillante, e ispirato da una visione musicale senza limiti. Per immortalare l'incontro di Django ed Ellington, «Down Beat » aveva mandato il giornalista e fotografo William Gottlieb. Gottlieb era un grande fan e un amico di Ellington, e all'Aquarium si trovava come a casa sua. Fu accompagnato nel retropalco per incontrare Django. Gottlieb gli chiese se lo poteva fotografare, e Fred Guy, chitarrista di Duke, prestò a Django la sua chitarra svedese Levin per poter far finta di suonare. Raccontò Gottlieb: «Non comunicammo molto, perché Django parlava pochissimo inglese. Io non sapevo molto della personalità di Django. Quando non capivo subito un personaggio, cercavo almeno di mettere a fuoco qualcosa. E nel caso di Django era facile.
La cosa più interessante erano le dita della sua mano sinistra che erano state mutilate da un incendio nel suo carrozzone quando era giovane in Belgio [sic]. Così quando scattai la mia foto con lui feci l'impossibile per far vedere quelle dita. Anche descriverle a parole sarebbe bastato a fare colpo, ma vederle in una foto avrebbe fatto veramente impressione. Quello era il mio obiettivo». Le foto colsero Django nel suo completo sportivo di tweed in cui lo vediamo spesso nelle immagini dei mesi successivi, perché non aveva molto altro da mettersi. Con una buona passata di brillantina sui capelli scuri e l'eterna sigaretta che pendeva pigramente dalle labbra, suonava la chitarra aiutando le sue dita valide con quelle danneggiate dal fuoco. Django osserva la chitarra con un'espressione serena sul viso, palesemente contento di essere arrivato finalmente al centro del jazz. L'immagine apparve sulla copertina del numero di «Down Beat» dando a Django il benvenuto negli Stati Uniti.