Il suono della città
Un estratto del capitolo dedicato a Los Angeles da City Blues di Vittorio Bongiorno
Dice che poggiando l’orecchio sulle crepe dell’asfalto di una città, come con le conchiglie, si possono sentire le voci dei pionieri che l’hanno fondata, il frastuono dei tamburi e dei martelli che l’hanno costruita. Se si ascolta a fondo si riescono a percepire addirittura i canti delle anime di chi l’ha difesa dal ferro e dal fuoco. È il suono della città, il battito profondo della vita di un luogo, il canto dell’energia che scorre da secoli sottoterra. È il blues della città. Da grande volevo fare il musicista. Per fortuna sono finito a fare lo scrittore, così ho evitato la fatica di trasportare su e giù dal palco strumenti e pesanti amplificatori, suonare in squallidi locali davanti a gente annoiata e soprattutto lo stress del numero di copie vendute. Scrivere e pubblicare “romanzi di insuccesso” però mi ha permesso di suonare la mia musica e continuare a comprare chitarre in giro per il mondo. Ho capito che a fare queste due cose mi sarei imbattuto in storie straordinarie e personaggi perfetti per i miei libri.
Come Colombo prima di noi, i cercatori d’oro, gli attori del cinema hollywoodiano, gli esuli di guerra e i perseguitati dal nazismo, per festeggiare i nostri quarant’anni io e Francesca saremmo andati verso ovest, proprio come la canzone dei Led Zeppelin. Los Angeles è troppo sconfinata, troppo folle, troppo surreale, troppo inarrivabile e sexy per non scappare lì un paio di settimane, lontano da tutti. I nostri figli adolescenti avrebbero superato il gelido inverno bolognese senza grossi traumi.
© Vittorio Bongiorno, City Blues - EDT 2016