Intervista a Guido Paduano
In questa intervista, Guido Paduano ci accompagna alla lettura di TuttoVerdi e, alla luce del 2013 Anno Verdiano, mette in evidenza il profondo valore in rapporto alla nostra contemporaneità, per non dire l'urgenza, della produzione del Maestro di Busseto.
A cura di Paolo Giuseppe Alessio
1. Professor Paduano, come è nata l'idea del libro?
Da un intento primario e letterale di servizio: ho pensato cioè a una guida che fosse possibile utilizzare andando a teatro, e che fornisse le informazioni essenziali a cogliere l’identità specifica di ogni opera. Sono partito dal presupposto che parte essenziale di questa identità, per quanto spesso trascurata, sia la relazione dell’opera con le sue fonti letterarie e attraverso di essa con le grandi costellazioni di pensiero e di civiltà che hanno dato vita all’immaginario sociale europeo. Ciò che va osservato, è soprattutto il singolare: “programma (e non “programmi”) di sala”, che allude a una sostanziale organicità del macrotesto verdiano, alla presenza tematica di poche grandi costanti intellettuali ed emotive.
2. A chi si rivolge?
Spero sia scritto in un linguaggio sufficientemente chiaro per rendersi utile a tutti gli appassionati d’opera. Allo stesso tempo, contiene problemi interpretativi che possono interessare, anche per il loro carattere interdisciplinare, gli studiosi – sia quelli di letteratura e di teatro, sia i musicologi.
3. TuttoVerdi nell'anniversario verdiano: da un punto di vista musicale, quali sono gli aspetti più attuali della produzione del Maestro?
Dopo la cosiddetta Verdi-Renaissance, che ha recuperato al repertorio anche le opere degli “anni di galera”, la multiforme produzione del Maestro appare depositaria della maggiore capacità di innovazione rispetto a una tradizione pure appassionatamente perseguita qual è quella del bel canto italiano. Si pensi, per fare un esempio, al riuso del topos della festa e del brindisi nel primo atto della "Traviata", dove queste categorie tradizionali si aprono a ospitare il paradosso del piacere mondano come costrizione (“Sempre libera degg’io”), e del dolore come conquista umana. O all’altro paradosso che chiude il secondo atto del "Ballo in maschera", dove il tema leggero dell’avventura galante ospita la tragedia del disinganno e della gelosia.
La ricerca di un nuovo linguaggio diviene sistematica nell’ultima parte della produzione verdiana, rispondendo non a caso alle esigenze specifiche della drammaturgia shakespeariana: nell’"Otello" la parola come strumento decisivo di violenza, sede del solo universo efficace, necessita di una dimensione musicale incompatibile sia con il recitativo che con le forme chiuse della tradizione.
4. Viva V.E.R.D.I. si diceva e scriveva un tempo. Mutatis mutandis, che cosa ha da dire, oggi, il melodramma verdiano a questi tempi difficili?
La dimensione risorgimentale è in Verdi solidale a una preoccupazione autentica e profonda dei valori della vita associata, che mi pare più che mai pertinente alla contemporaneità: il rifiuto dei miopi interessi di parte ("Simone Boccanegra"), il rifiuto dell’etnia dominante e intollerante ("Alzira"), e soprattutto l’esigenza della laicità, con l’implacabile distinzione fra il valore della religione e il suo uso come "instrumentum regni" ("Don Carlos").
5. Nella sua Prefazione, lei fa riferimento alla "compatta dialettica verdiana di amore e potere, stratificata in cinquantaquattro anni con l'aiuto di quindici librettisti". Verdi musicista e, non meno, Verdi drammaturgo, quindi. Che rapporto aveva il Maestro con i suoi librettisti?
Un rapporto notoriamente famoso per il suo carattere quasi tirannico. Verdi è pienamente responsabile della struttura drammatica, alla quale piega senza scrupoli le esigenze della dizione linguistica.