Storie africane
Il resoconto di due viaggi in Tanzania, nel 1982 e nel 2001, nei quali Andrea Berrini, che parla correntemente lo swahili, cerca di imbastire un dialogo con le persone che incontra e intervista; ma la difficoltà di superare la barriera tra il bianco, ricco e potente, e l’africano, povero e avvezzo a una certa forma di sussiego ha un effetto straniante sulla conversazione.
A Tanga i funzionari del ministero della cultura cercano di spiegargli l’esistenza degli spiriti, che però non esistono. A Mwanza il cameriere assomiglia a una persona incontrata altrove, e solo dopo una giornata trascorsa assieme ammetterà che no, era la prima volta che incontrava il narratore. Nella capitale Dar es Salaam, Berrini passa un sabato sera a ballare con una compagnia di ragazzi, e accetta l’invito ad andare a trovare uno di loro al villaggio natale: saranno dieci chilometri a piedi nella boscaglia e una settimana a nutrirsi di sole banane cucinate ogni sera in modo diverso, fino alla grande festa in onore dell’ospite bianco. In uno dei parchi nazionali più famosi del mondo, il Serengeti, una guida molto preparata porta i turisti a visitare i Maasai, con i loro vestiti tradizionali e le lance: ma la guida stessa è Maasai, e incontra i suoi cugini, che sono solo figuranti.
Venti anni dopo, all’inizio del nuovo millennio, l’autore torna in una Dar es Salaam in pieno sviluppo economico, e incontra un poeta, un musicista di fama internazionale e il divo della prima soap opera tanzaniana. Berrini li intervista, ma la faccenda non va a finire sempre bene. La capitale è cambiata ma quella forma di apartheid per cui i bianchi che vivono e lavorano in città nulla sanno della letteratura o della musica o della televisione dei neri, è ancora lì.