Musica, sicurezza e uguaglianza: idee per un modello

Saggi e narrazioni

Musica, sicurezza e uguaglianza: idee per un modello

La musica ha portata universale. La si ascolta ovunque, scandisce i momenti più importanti della vita, accompagna i riti religiosi, le cerimonie, le feste. Oltre che sugli individui, essa ha ovviamente un impatto sulle comunità: crea relazioni, avvicina le persone, inventa nuovi modi di stare insieme, anche in momenti di grave emergenza come i lockdown durante la pandemia di COVID 19. È insomma una parte irrinunciabile della condizione umana.

Eppure, osserva Shain Shapiro nel suo Ecosistemi musicali, la musica fatica terribilmente a ottenere il riconoscimento istituzionale dell'importanza che potrebbe avere per i luoghi in cui viviamo. È un paradosso: la musica, una sottosezione importantissima dei nostri ecosistemi, viene trascurata dalle politiche pubbliche. Ha un grande potenziale come fattore di crescita dell'economia e in generale di miglioramento delle condizioni delle città, rende insomma migliori i posti e la vita, ma rientra di rado in iniziative collettive e coordinate. A questo equivoco concorre anche una narrazione sfavorevole secondo la quale il settore musicale non sarebbe davvero una delle tante voci dell'economia, ma piuttosto una forma di intrattenimento, e chi ci lavora viene spesso visto come un privilegiato.

Shapiro ha lavorato allo sviluppo di politiche musicali in varie città, tra cui Londra, Huntsville in Alabama e Madison in Wisconsin. Forte di queste esperienze, e di una passione innata per la musica, ha delineato in questo libro un modello di ecosistema musicale applicabile a prescindere dalla città presa in esame. Uno dei punti sviluppati da questo modello è il legame tra musica, sicurezza e uguaglianza.

Se una città è afflitta da razzismo e classismo sistemici, il suo ecosistema musicale ne porterà i segni nella stessa misura. L’autore elenca diverse spie di questo problema: la criminalizzazione di alcuni generi, come drill, grime e altre forme di hip hop, talvolta usati in tribunale come indicatori di comportamenti violenti (basandosi sui testi delle canzoni, non su azioni specifiche) ; la difficoltà, da parte di chi voglia tentare la carriera del musicista, a ottenere adeguate linee di credito e di sostegno fiscale; i pregiudizi verso neri e latinoamericani, i cui locali sono oggetto di sorveglianza poliziesca ai limiti della persecuzione; la misoginia diffusa che fa sì che le donne non si possano sentire sicure tra il pubblico di un evento; ancora, la carenza di investimenti sull’accessibilità degli spazi.

L’estratto che segue, tratto dal capitolo 5 di Ecosistemi musicali, riconosce che la musica non può farsi carico di tutti questi problemi, ma può svolgere un ruolo molto importante per alleviare le disuguaglianze nelle comunità.

Ecosistemi musicali. Estratto dal Capitolo 5, Il modello

In generale, pochi dissentono sul fatto che la musica sia, in sé, una cosa buona. La maggior parte di noi, in un modo o nell’altro, la apprezza. E rendere equa la propria musica ha una ricaduta su tutto, perché la musica tocca ogni cosa.

 

Ci sono azioni che possono essere inserite fin dall’inizio in un modello di ecosistema musicale per affrontare simili questioni. Una carta dei diritti su antirazzismo e LGBTQI+ con incentivi, sgravi fiscali e finanziamenti destinati a chi dimostra di seguire le procedure ottimali in materia favorirebbe investimenti diversificati. Si potrebbero utilizzare interpreti della lingua dei segni durante i concerti sopra una certa soglia di pubblico. Una formazione obbligatoria contro i pregiudizi per lo staff di strutture, festival e altri ambiti del settore dei servizi, oltre che per i poliziotti e gli altri operatori di prima linea che interagiscono con loro, creerebbe occhi e orecchie più attenti, soprattutto durante eventi di grande portata. Si possono introdurre risoluzioni per creare un sistema di pagamento equo, a prescindere dal posto in cui si vive. Ciò richiederebbe, in alcuni luoghi, la riscrittura, l’adozione e l’applicazione delle leggi sulla proprietà intellettuale. La pratica di sfruttamento del secondary ticketing andrebbe vietata, come è accaduto in Quebec. Si potrebbe investire nell’educazione musicale e creativa nelle aree più svantaggiate per il rendimento fornito dagli investimenti, non solo perché è una cosa giusta. Chi crea e sostiene le politiche musicali dovrebbe anche rispecchiare la composizione demografica della propria comunità. Infine, si potrebbero sviluppare politiche che vadano al di là dei generi musicali, in modo che ogni tipo di musica possa avere accesso equo alle risorse disponibili. Una lunga storia di spese milionarie per una sola costruzione dedicata a pochi generi specifici a scapito di tutto il resto dovrebbe giungere al termine.

 

Se tutte le decisioni prese nell’applicazione di questo modello fossero rese eque, ne emergerebbe un ecosistema musicale sano. Ciò porterebbe a una maggior presenza di turisti musicali, perché ci sarebbe un’offerta più diversificata da promuovere. Si sosterrebbe un numero maggiore di nuove attività economiche, perché in tutta la comunità crescerebbe la fiducia nel fatto che la sua musica, o le idee che la circondano, conta. Verrebbe attratto un numero maggiore di talenti, soprattutto in un momento in cui le città e le località competono tra loro per la presenza di persone altamente qualificate che possono lavorare da remoto. Aumenterebbe il numero degli spettatori, perché meno biglietti verrebbero incamerati dai rivenditori e sfruttati con un ricarico di tre o quattro volte il costo iniziale.

 

Una maggior presenza di musica, se gestita in modo adeguato, è una componente fondamentale non solo per creare comunità vivaci, ma per sostenerle. Si crea un ecosistema con posti di lavoro qualificati che non possono essere automatizzati e sono molto meno “rapaci”. La musica è un settore a coda lunga, e se in un luogo viene creato un numero complessivo maggiore di diritti musicali, sarà più elevato anche il quantitativo depositato a nome di contribuenti residenti in loco, che ne ricaveranno un guadagno. Al tempo stesso, le comunità che puntano ad avere un rating più elevato delle proprie obbligazioni, aumentando la propria capacità di contrarre debiti per investire nel bene comune, trarrebbero beneficio dall’impatto della musica su un accrescimento della qualità della vita. Huntsville ha uno dei rating più alti degli Stati Uniti. Lo aveva anche prima dell’applicazione della nostra strategia, ma l’ha mantenuto nel tempo, ed è uno dei motivi per cui è stata votata come posto migliore per vivere nella nazione. Può contrarre prestiti, investire localmente e ripagare i debiti.

 

L’hip-hop, un genere che fa parte di ogni comunità, è già di per sé un ecosistema imprenditoriale. Si possono ricavare significativi introiti collaterali dalle canzoni tramite il loro uso nei film, nella moda, nei mixed-media, nel settore alimentare e in altri ambiti. Vengono affinate molteplici competenze nello sviluppo e nella crescita delle carriere in questo genere, da un incremento dell’alfabetizzazione al montaggio cinematografico. È un genere intrinsecamente accessibile, con un capitale di avvio molto basso. Ed è un linguaggio globale che unisce le persone, al di là di lingua, etnia e cultura. Eppure, in alcune comunità viene discriminato. In altre, criminalizzato. Peggio ancora, scrivere un testo può essere usato contro di te in tribunale. La completa idiozia del non vederlo per quello che è, un efficace strumento di creazione di posti di lavoro e sviluppo sociale, rasenta l’incredibile. Soprattutto dato che si tratta del genere più popolare al mondo, secondo «Billboard».

 

Se il razzismo, la disuguaglianza, i pregiudizi di genere, la mancanza di supporto alle disabilità o alle categorie protette e altre forme di discriminazione permangono nelle politiche, nelle pratiche e nelle attività quotidiane di un ecosistema musicale, qualsiasi strategia per farlo crescere fallirà. E benché non si possa risanare un ecosistema musicale senza affrontare le disuguaglianze più ampie insite nel modo in cui governiamo le nostre città, le gestiamo e ne ricaviamo ricchezza, e senza cambiare chi ne trae beneficio, la musica può essere una voce potente che attraversa diverse politiche legate all’ambiente edificato, se viene costruita come modello di antirazzismo, antidiscriminazione, inclusività e giustizia. La musica è uno degli elementi unificanti più affidabili. Se viene inclusa in questa chiave in una politica civica, può avere un impatto amplissimo.