Nuova introduzione di Peter Mayle
Un anno in Provenza vent'anni dopo. A due decenni esatti dall'uscita della prima edizione, Peter Mayle fa il punto sul successo straordinario e in parte inatteso del suo libro. E, soprattutto, ci aiuta a coglierne l'attualità. Tutto questo nella nuova Introduzione che qui proponiamo in anteprima.
Un anno in Provenza è uscito nel 1990 con una tiratura iniziale di tremila copie, considerate all’epoca più che sufficienti. Da allora, con gran sconcerto e soddisfazione da parte mia, ne sono state vendute sei milioni in quaranta lingue.
La cosa ha inevitabilmente finito per irritare certuni, che dai loro piedistalli di New York, Londra o Parigi, sostengono che io stia contribuendo alla rovina della Provenza. Non si spiega tuttavia come possano costoro esserne tanto certi, dato che la loro conoscenza della regione è fortemente limitata dal seccante fatto di non viverci. In ogni caso le critiche mi hanno indotto a paragonare la Provenza del 1990 a quella del 2010. Che cosa è cambiato?
I prezzi delle case sono aumentati, certo, ma questo è accaduto anche in Italia, in Spagna, in Florida, nel Meatpacking District di Manhattan e, più in generale, ovunque possa essere considerato piacevole abitare.
Ci sono molti più ristoranti di qualità e luoghi deliziosi in cui soggiornare rispetto a prima; ci sono più stelle Michelin, più bistrot, più chambres d’hôtes. In altre parole, c'è più scelta. I vini locali sono migliorati oltre ogni aspettativa. Ma per quanto concerne i cambiamenti, questo è tutto, direi.
Più interessante, forse, è considerare ciò che non è cambiato nel corso degli ultimi vent’anni. I mercati di paese continuano a vendere generi alimentari freschi, sfuggiti alla mania contemporanea per il cellophane e la sterilizzazione su vasta scala. Ci sono ancora ampie distese di campagna disabitata e incolta, scampata ai parchi a tema, ai campi da golf e alle colonie di condomini. Chi desidera il silenzio, autentico bene in via di estinzione, riesce tuttora a trovarlo. Inoltre, diversamente da molti altri posti al mondo resi affollati, insignificanti e prevedibili dal progresso e dalla facilità con cui si raggiungono, la Provenza è riuscita a conservare un’atmosfera e un’originalità tipiche. L’accento è rimasto forte e impastato, la bizzarra nozione di puntualità continua a essere ignorata, e per un pranzo domenicale come si deve ci vogliono sempre, al minimo, due ore. Tutto ciò è meraviglioso.
Per quanto concerne i mutamenti più personali avvenuti dal 1990 in poi, temo che il trascorrere degli anni abbia contribuito ben poco al miglioramento tanto del mio carattere quanto delle mie abitudini. Vengo sempre facilmente distolto dalla scrivania da interessanti distrazioni: una degustazione di vini, un giovane chef promettente, voci secondo cui sotto una vicina quercia si trovano i tartufi, un tenebroso hammam a Marsiglia, una combattuta partita a pétanque in paese e, ovviamente, lo spettacolo della vita quotidiana osservato dai tavolini esterni di un caffè. Per quanto possa sembrare strano, le distrazioni più impegnative, come i lunghi viaggi, invece non mi attraggono più. Non desidero andare da nessun altra parte, sono felice qui. Il che, immagino, si chiama soddisfazione, e sarò dunque sempre grato al fortuito evento letterario noto come Un anno in Provenza che mi ha dato una mano a raggiungerla.
Un libro naturalmente non ha successo senza lettori, e mi ritengo piuttosto fortunato ad averne conosciuti centinaia, alcuni personalmente altri attraverso lettere e fotografie. Di alcuni sono diventato amico ma tutti mi hanno dato un piacere enorme, e apprezzo particolarmente il fatto che provengano da ambienti molto diversi: un membro della Camera dei Lord inglese, una giovane soldatessa cinese, un uomo che sconta la sua pena in carcere, un docente universitario, un ragazzino che impara a leggere, costoro e centinaia di altri si sono presi la briga di scrivermi, e quelle lettere sono più importanti di qualsiasi recensione positiva. Perciò, cari lettori, permettetemi di ringraziarvi per la vostra gentilezza e per il sostegno che mi avete dato negli ultimi vent’anni. Per favore, continuate così.