A Parigi la buona tavola si tinge di giallo
Che fine ha fatto la bella chef Killa? Monsieur Pélardon la sta cercando disperatamente, ma sembra persa nell’immensità di Parigi. Voci di corridoio dicono che abbia avuto una crisi mistica e che si sia data a terribili pratiche vegetariane. Toccherà agli investigatori improvvisati Bamalou e Mamirolle cercarla in tutti i bistrot che è solita frequentare. L’indagine è perfetta per i due, appassionati di cibo: Bamalou è grassoccio, malvestito e bulimico, non potrebbe sperare in meglio di un inseguimento tra un bar-avin e un restaurant; Mamirolle – elegante e sempre munito di una borsa da medico colma di coltelli affilati – è un’esteta, ama i piatti belli per gli occhi. I due hanno una traccia da seguire: i piccoli disegni che Killa sembra aver lasciato dietro di sé. Con un susseguirsi di situazioni, anche comiche, e di colpi di scena, i due amici riusciranno ad arrivare al fondo della storia in maniera del tutto inaspettata.
E in questo vagabondare si attarderanno nei luoghi della loro ricerca, costruendo così una mappa gustosa della più gustosa delle città.
Elenco dei locali
Le Grand Colbert (brasserie di lusso) - Atlas (ristorante marocchino, ci andava Arafat quando era a Parigi) - Brasserie Lipp (storia di Parigi) - Café Panis (turistico, ma di affezione) - il bancone dove sostava Hemingway alla Closerie des Lilas (classe purissima) - Le Méditerranée Odéon (vendredi, poisson) - Polidor (antico locale di cucina francese) - Restaurant Paul (Maigret pranzava qui?) - Au Bougnat (bistrot, cafè crème e croissant) - Au Chien qui fume (il rognone in salsa di mostarda alle Halles) - Floderer (la vera cucina alsaziana) - Alilang (coréen, il ramen nel 10° arrondissement) - Sébillon (gigot d’agneau Allaiton de l’Aveyron, ne mangi quanto ne vuoi) - Schmid (traiteur, l’Alsazia da portare a casa) - Au Petit Zinc (la religione dello zinc).
Enrico Pandiani (Torino 1956) ha esordito nel 2009 con Les italiens, vincitore del Premio Belgioioso Giallo 2009, con il quale ha inaugurato la saga del commissario Jean-Pierre Mordenti. Tra i fondatori, assieme a un gruppo di altri scrittori, dell’associazione Torinoir, è considerato uno dei migliori autori italiani di romanzi polizieschi. Oltre alle avventure de “les italiens”, sempre per Rizzoli ha creato la serie Zara Bosdaves e firmato altri romanzi, come Polvere (DeA Planeta).
Giaceva sull’altra sponda, come un grande cetaceo spiaggiato, priva di vita, all’apparenza, ma ancora imbevuta di tutta la sua maestosa nobiltà ferita. Il tetto e la guglia erano del tutto scomparse, teli in plastica grigia chiudevano la sommità per impedire il deflusso dell’acqua. Li sovrastava un enorme ponteggio, quasi un patibolo, dall’aria fantascientifica e incombente che rivelava la fragilità calcificata della sua mole o di ciò che ne restava. I contrafforti sottili, indeboliti dall’incendio, erano sostenuti da strutture semicircolari di legno che sembravano deriderne la sottile bellezza. I segni del fuoco erano ovunque, sulla pietra annerita e nelle orbite vuote che prima erano state vetrate piene di colore.
Notre-Dame li portava come dignitose cicatrici di una battaglia persa, sempre imponente dall’altra parte del fiume, sulla sua isola che adesso era in gran parte chiusa da una recinzione di lamiera ondulata sopra la quale correvano rotoli di filo spinato simili a quelli delle prigioni o dei campi di concentramento.
Non potendo salire sulle sue torri, né visitare l’interno della cattedrale, folle di turisti si erano radunati sull’argine della Senna per fotografare e commentare la bestia ferita che pareva reggersi in piedi a malapena. Era la prima volta che la vedevo, dopo l’incidente, che poteva anche essere stato un atto deliberato, perché mi ero rifiutato di farlo, di venire a vedere la sua lenta agonia.
Soltanto un appuntamento era riuscito a portarmi lì e adesso ascoltavo distratto la desolazione che mi giungeva alle orecchie sotto forma di cordoglio in lingue diverse.
«Bamalou!» La voce di Mamirolle mi ha distolto dai miei pensieri. Mi sono voltato e l’ho scorto dall’altra parte della strada, accanto alla vetrina del Café Panis. «Bamalou, dai!» ha insistito con un cenno del braccio. «Forza, vieni qui.»
Ho distolto lo sguardo dallo sfacelo ecclesiastico e ho attraversato la strada per raggiungerlo. Indossava, come sua abitudine, uno spezzato giacca blu calzoni grigi, con panciotto e farfallino. In testa portava l’eterna coppola che forse non si levava nemmeno per dormire. Copriva la pelata, contornata da capelli grigi e stopposi, di cui temo si vergognasse.
«Sei venuto in macchina?» ha chiesto.
«L’ho parcheggiata in rue Lagrange, qui dietro. »
«Siamo arrivati in anticipo.» ha dato un’occhiata all’orologio.
«Pélardon ci aspetta tra mezz’ora. Che ne dici se ci facciamo una soupe à l’oignon qui da Panis?»
«Sono le dieci e un quarto» ho fatto notare. Ha evaso la questione con un’alzata di spalle. Così siamo entrati nel bistrot. Il Café Panis è un locale turistico, non ci sono dubbi, non potrebbe essere altrimenti con quelle grandi vetrine che guardano su Notre-Dame e sull’Île de la Cité. Ma ha un suo fascino démodé e polveroso che richiama i locali parigini di una volta. È un posto molto piacevole e accogliente, con le sue boiserie leggere, la libreria di vecchi volumi, i divanetti di finta pelle rossa e il soffitto con le luci nascoste nella plafoniera di stucco.
Ai tavoli erano sedute diverse persone e la terrazza era gremita di gente che beveva al sole caldo di metà giugno. Per lo più inglesi o americani, coppie e famiglie. Era libero un tavolo con due poltrone e ci siamo accomodati.