Prefazione di Carlo Petrini - Soup for Syria
Il grado di civiltà di una popolazione si misura con l’apertura e la solidarietà verso chi è in difficoltà. E se questo vale a livello locale, dovrebbe valere ancora di più sul piano internazionale. Mai come in questo periodo storico dovremmo ricordarci di questo, perché ormai da troppo tempo stiamo vivendo una tragedia di proporzioni inimmaginabili, che ha il suo epicentro in Siria.
Anni di crisi e di violenza hanno messo in ginocchio un paese meraviglioso, costringendo enormi masse di persone a lasciare le loro case, le proprie terre, le proprie occupazioni, le proprie vite quotidiane. E la comunità internazionale non sempre ha dimostrato un’adeguata attenzione nei loro confronti, troppo spesso erigendo muri reali e virtuali o, peggio, voltando la testa dall’altra parte. Per questo motivo il progetto di “Soup for Syria” merita grandissimo sostegno e rispetto: è un’iniziativa nobilissima che coinvolge cuochi e cuoche di buona volontà, per una causa che non possiamo ignorare, che non possiamo fingere di non vedere. È dovere di tutti noi, che viviamo in situazioni estremamente privilegiate, volgere lo sguardo verso coloro che ogni giorno sperimentano precarietà, paura, sofferenza, povertà. E ancora più significativo è il fatto che questa volta, a farlo, sia una donna libanese, il paese che certamente, con più di un milione di profughi, porta il carico più pesante della crisi siriana. Non posso che essere estremamente contento del fatto che Barbara Massaad, anima e cuore di questa iniziativa, sia una colonna portante del nostro movimento Slow Food, essendo la fiduciaria di Beirut, oltre a essere una fotografa straordinaria. Altrettanto, mi fa piacere che Slow Food Editore abbia concesso le ricette tradizionali di Osterie d’Italia per completare l’edizione italiana a cura di EDT. Un bel segno di collaborazione fra editori per una causa umanitaria.
I rifugiati di oggi sono figli di decisioni sbagliate, di modelli economici e di risoluzione dei conflitti che non sono in linea con la ricerca della felicità propria di tutti gli esseri umani, e che non sono in grado di garantire stabilità, sicurezza e armonia. Le persone che oggi affollano i campi in Libano, Giordania, Turchia e che bussano alle nostre frontiere sono fratelli che non possiamo respingere perché ne va della nostra umanità, ne va dei nostri stessi valori fondativi,
ne va della nostra idea di convivenza civile.
La grande bellezza di questo progetto è che si sviluppa intorno al tema del cibo, che da sempre è uno strumento di conoscenza e di comunicazione tra i popoli, che costruisce ponti invece che muri e che sa mettere in relazione le persone come nient’altro al mondo. Non a caso il cibo, dal lato agricolo, è anche uno dei primi elementi a essere messi sotto attacco in un confiltto: mi parlano di distruzioni sistemati- che dei campi e delle popolazioni contadine in Siria, come a strappare le loro identità e impedire la vita in quei luoghi per lungo tempo. Attraverso il cibo parliamo di noi, parliamo della nostra idea del mondo, parliamo delle nostre radici e del nostro futuro. Questo lavoro encomiabile, attraverso ciò che mangiamo, e la semplicità di una zuppa, ci parla anche di ciò che significa essere fratelli, figli della stessa Terra Madre, talvolta nutrice e talvolta martoriata e resa ostile dalle nostre piccolezze umane. Ci ricorda che condividiamo un unico destino, in cui la felicità è tale solo se condivisa.
Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food