Un grande viaggio nel cosmo umano
In questo estratto dal Prologo di Avventure nell'essere umano, Gavin Francis ci introduce alla lettura del libro. Riprendendo una metafora già utilizzata dagli anatomisti del Rinascimento, paragona la ricognizione nel nostro corpo a un grande viaggio e la professione del medico a quella del geografo, e viceversa.
Da bambino non volevo fare il medico ma il geografo. Mappe e atlanti, oltre ad avere un’utilità pratica, erano un modo per esplorare il pianeta attraverso immagini che rivelavano ciò che si cela nel paesaggio.
Non volevo trascorrere la mia esistenza professionale in un laboratorio o in una biblioteca, ma usare le mappe per esplorare la vita e le sue possibilità. Immaginavo che comprendendo il modo in cui era organizzato il mondo, avrei raggiunto una maggiore consapevolezza del posto che l’umanità ha in esso, e avrei imparato un mestiere con cui guadagnarmi da vivere.
Con il trascorrere del tempo quell’impulso a mappare si è spostato dal mondo circostante a quello che ci portiamo dentro; ho barattato il mio atlante geografico con un atlante di anatomia. I due testi all’inizio non mi sembrarono così diversi; i reticoli di vene azzurre, arterie rosse e nervi gialli mi ricordavano i fiumi colorati, le strade principali e quelle secondarie del mio primo atlante. C’erano altre somiglianze: entrambi i libri riducevano la straordinaria complessità del mondo naturale a un fatto comprensibile, che poteva essere dominato.
I primi anatomisti avevano colto una correlazione naturale tra il corpo umano e il pianeta che ci nutre; il corpo era addirittura un microcosmo, cioè un’immagine in miniatura del cosmo. La sua struttura rispecchiava la struttura della terra; i quattro umori del corpo riecheggiavano i quattro elementi della materia. C’è del senso in tutto ciò: siamo mantenuti eretti da uno scheletro di sali di calcio, una sostanza chimicamente simile al gesso e al calcare. Fiumi di sangue sfociano nell’ampio delta del cuore. Il profilo dell’epidermide ricorda la superficie ondulata del terreno.
L’amore per la geografia non mi ha mai abbandonato; non appena gli impegni del tirocinio medico sono diminuiti, ho iniziato a esplorare. Talvolta mi è capitato di esercitare la professione medica mentre viaggiavo, ma più spesso visitavo luoghi nuovi a mio unico beneficio, per vivere paesaggi e popoli diversi, per conoscere il più possibile il pianeta. Quando ho scritto di quei viaggi in altri libri, ho cercato di trasmettere almeno una parte delle sensazioni che in quei posti avevo provato, ma il mio lavoro mi ha sempre riportato al corpo, sia come mezzo per guadagnarmi da vivere sia come il luogo in cui tutti noi abbiamo un inizio e una fine. Lo studio del corpo umano è diverso dallo studio di qualsiasi altra cosa: l’oggetto a cui porre attenzione siamo noi, e lavorare con il corpo ha un’immediatezza e un potere trasformativo unici.
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