Una Ellis Island dell'avanguardia
Nella primavera del 1965 l’Hotel Chelsea era diventato un’autentica Ellis Island dell’avanguardia, per dirla con un giornalista, con oltre venti artisti europei o statunitensi che ci vivevano in pianta stabile.
Sullo stesso piano di [Arthur] Miller c’era Daniel Spoerri, un alto e assai dinamico parigino di origini rumene dai capelli ispidi, il quale creava “quadri-trappola” fissando a dei pannelli resti di cibo, posacenere ricolmi di mozziconi, giornali o qualsiasi cosa vi fosse poggiata sopra per poi appendere i pannelli al muro. Al nono piano era ritornato Arman, e aveva ricominciato a riempire di rifiuti il proprio appartamento, mentre in fondo al corridoio l’artista di origini ungheresi Jan Cremer, autore di un romanzo di culto e di enorme successo in Olanda, una sorta di Sulla strada nichilista, si trasferì nell’ex studio di Larry Rivers per realizzare enormi tele, alte tra i tre e i quattro metri, coperte di campi di tulipani dai colori accecanti.
L’artista pop inglese Allen Jones era arrivato con la moglie Janet per sfornare immagini erotiche dai toni brillanti a partire da fotografi e di vecchi numeri di Playboy e riviste feticiste. Al decimo piano il barbuto ex addetto stampa Harold Steinberg aveva di recente fondato la Chelsea House Publisher, ottenendo credibilità immediata poiché si era appropriato non solo del nome dell’albergo ma anche del logo per la sua carta intestata, e accanto a lui era tornato a vivere Jean Tinguely con Niki de Saint Phalle. Ispirata dalla tondeggiante gravidanza di Clarice Rivers dell’estate precedente, la Saint Phalle aveva abbandonato i dipinti a cui sparare per dedicarsi a una serie di enormi figure della fertilità in cartapesta dai colori accesi, che chiamò Nanas e che divennero ben presto talmente numerose da tracimare in corridoio, cosa che faceva sussultare la moglie di Steinberg, Mary, ogni volta che usciva dal suo appartamento.
Al Chelsea tornò anche Christo, l’artista di origini bulgare specializzato nell’impacchettare oggetti, insieme alla moglie francese, Jeanne-Claude. La giovane e affascinante coppia era approdata al Chelsea grazie a una mostra alla Leo Castelli Gallery nella primavera del 1964. Messi al corrente da Rivers e da altri amici di Parigi, i due avevano preso un taxi per l’albergo direttamente dall’aeroporto, e vi si erano sentiti subito a casa, malgrado Christo non parlasse praticamente inglese e l’accento di Jeanne-Claude fosse così mediocre che quando aveva chiesto fresh sheet, lenzuola pulite, la cameriera aveva capito shit e le aveva risposto: “Vuole della merda, signora?”. Circondati da altri artisti, tutti quanti “folli”, i due non ancora trentenni si erano sentiti normali per la prima volta in vita loro. Anche New York li abbacinava: si divertivano a infilare monetine in fessure per ottenere cibo dalle macchine dell’Automat; amavano cenare in camera con l’artista Ray Johnson, il quale portò in dono quattro forchette impacchettate nella carta che loro scambiarono erroneamente per un’opera d’arte; e rimasero meravigliati di fronte a Kleinsinger, che suonava il pianoforte nella sua giungla e poi immergeva un dito nella vasca dei piranha per farsi dare un morsettino, risvegliarsi e suonare ancora.