Il Messico degli ultimi decenni
Il sogno del Messico di entrare a far parte del cosiddetto primo mondo, lasciandosi alle spalle decenni di instabilità politica ed economica, sembra essersi finalmente avverato. Ma quali sono gli effetti del libero mercato e della globalizzazione sul tenore di vita dei messicani e, in particolare, sul divario tra ricchi e poveri e sulla condizione delle donne? E qual è lo stato di salute della democraziadel paese?
Sono alcuni dei temi affrontati da Alexander Dawson, docente di Storia del continente latino-americano alla Simon Fraser University (British Columbia, Canada), nel volume Il sogno del primo mondo. Il Messico del 1989. Abbiamo rivolto all'autore questa intervista, per introdurci alla lettura e per presentare i temi di fondo del volume.
Quali sono gli interrogativi di fondo a cui il suo libro cerca di rispondere?
Questo libro è la storia delle trasformazioni alle quali il Messico è andato incontro nell'ultimo quarto di secolo. La società messicana, che un tempo era definita "dittatura perfetta", è diventata in poco tempo una chiassosa e caotica democrazia, con un sistema economico relativamente aperto. Il libro spiega le dinamiche di questo cambiamento, ne considera i possibili sviluppi, ma anche i limiti.
Che tipo di democrazia ha il Messico oggi? Chi sono i perdenti e i vincitori della crescita economica avvenuta nell'ultimo decennio? Pensa che il rispetto dei diritti umani sia ancora una questione aperta?
La democrazia messicana è un fenomento complesso. Nell'ultimo decennio il paese ha assistito ad alcune delle tornate elettorali più trasparenti del continente americano (almeno quanto quelle degli Stati Uniti). Il sistema elettorale è molto efficiente e ha consentito un importante e pacifico cambiamento di regime. Detto questo, saremmo ingenui se pensassimo che in Messico non accadano brogli. Le presidenziali del 2006 evidenziarono questi problemi. Alla fine la vittora andò a Felipe Calderón, ma non senza duri attacchi da parte dei suoi oppositori, che accusarono il PAN di frode diffusa.
Il divario tra ricchi e poveri e la violenza restano una sfida aperta per la democrazia messicana. Ma questi problemi impallidiscono se confrontati alla crescita dei prezzi delle derrate. Se il prezzo del grano salirà ancora, insieme a quello dei generi alimentari, la crisi potrebbe destabilizzare il paese.
Un problema che riguarda soprattutto i "perdenti" della globalizzazione, quella fetta della società nota come "Messico del peso". Piccoli agricoltori che non riescono a partecipare all'economia delle esportazioni, operai impreparati alla competizione globale e milioni di messicani che lavorano nella cosiddetta "economia informale". Oltre la metà dei messicani non si considera "vincitrice" nel processo di globalizzazione e per questo molti sono in cerca di nuove opportunità, anche se si tratta di emigrare.
Quella dei diritti umani è una questione complessa. Non è in gioco solo la libertà politica, ma anche la sicurezza dalla minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata o da gruppi paramilitari. Oggi le violazioni perpetrate dal governo sono più evidenti rispetto al passato, e gli ufficiali che si macchiano di questa colpa sanno che possono essere incriminati per le loro azioni. La violenza è causata anche dalla guerra condotta dal governo contro i narcotrafficanti. Decine di poliziotti hanno perso la vita in questa lotta nell'anno passato, compreso il capo della polizia. I messicani non si sentono sicuri, ma l'opinione pubblica continua a sostenere la lotta di Calderón contro i cartelli della droga.
Nel libro lei ricorda che la globalizzazione, in Messico, è iniziata nel 1968, ben prima del fatidico 1989, con il massacro di Tlateloco, quando polizia ed esercito spararono sugli studenti. Qual è il motivo di questo "anticipo"?
Il 1989 è una data cruciale per la storia degli ultimi decenni e questo libro, non a caso, fa parte di una collana dedicata ai fatti che ci separano da quell'anno. Secondo me, però, per la storia messicana contemporanea non è sufficiente fare riferimento al solo 1989. Per il Messico sono molto più importanti gli eventi che sconvolsero il paese nel 1968. Per due motivi: perché quell'anno segnò una svolta nella storia del paese e perché in quel periodo molti dei fermenti che portarono alla globalizzazione erano già in atto nella società messicana. Per "globalizzazione" non si deve intendere solo l'apertura degli scambi economici, ma anche cambiamenti significativi nella tecnologia, nella scala dei valori e nei comportamenti umani.
Qual è il ruolo del Messico negli equilibri nel Nord America? L'emigrazione è ancora un problema?
Vorrei considerare l'emigrazione come un fenomeno, non come un problema. Gli italiani che emigrarono nelle Americhe tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo contribuirono a ridisegnare profondamente la fisionomia del luogo di origine e di quello di partenza.
Allo stesso modo, oggi sarebbe sciocco ricorrere alla nozione di "buono" o "cattivo" per descrivere l'emigrazione messicana. In genere, gli emigranti lasciano una terra povera di risorse e opportunità per raggiungere un luogo dove vivere meglio. La storia dell'umanità funziona così e chi cerca di arginarla con i soldati o con le armi dimostra in modo tragicamente comico di ignorare la propria stessa origine.
Riguardo al ruolo del Messico nell'equilibrio nordamericano, non si può assumere un unico punto di vista. Il Messico è molto esteso, così come lo sono il Canada e gli Stati Uniti. Alcune aree del paese hanno acquisito notevole importanza come centri manifatturieri per il mercato del Nord America. Altre zone forniscono lavoro, prodotti agricoli e materie prime. Il Messico è un fornitore stretegico di petrolio per l'economia statunitense, ma è anche un'importante meta turistica e culturale.
La sua storia, poi, è quella di un paese post-coloniale e, per questo, non può essere nettamente separata da quella del suo ricco vicino settentrionale. Alcune distinzioni che usiamo per comodità, come quella tra Texas e Chihuahua, sono in qualche modo arbitrarie.