Intervista a Bill Streever
Come nasce un libro come Gelo? E, soprattutto, qual è l'insegnamento che se ne può trarre? Bill Streever risponde a queste e altre domande e ci introduce alla lettura del suo libro.
Dottor Streever, come è nata l’idea del suo libro? E che tipo di lettore ha avuto in mente scrivendo?
Vivo in Alaska e quindi sono sempre immerso nel freddo. In inverno non c’è alternativa: ogni giorno scio o cammino con le racchette da neve sui sentieri intorno a casa mia. Le strade sono coperte di neve o di ghiaccio e non c’è scampo alle basse temperature. Queste condizioni di vita, unite al mio interesse per piante e animali, mi hanno spinto a pormi non poche domande. Che fine hanno fatto le cinciallegre? E perché gli scoiattoli degli alberi sono attivi tutto l’inverno, mentre quelli di terra cadono in un profondo letargo? Dove si nascondono ragni e insetti? Sono i classici quesiti ispirati dal freddo e dall’inverno.
Persino in estate, quando fa un po’ più caldo (ma mai davvero caldo), le tracce del gelo sono ovunque. Il manto stradale porta i segni delle gelate, il ritirarsi dei ghiacciai lascia scoperte splendide valli, mentre piante e fiori crescono in fretta, nel poco tempo a disposizione prima del ritorno del freddo. Anche gli animali cambiano il colore della pelliccia e ingrassano a vista d’occhio. Come si vede, per ogni persona dotata di un po’ di raziocinio e residente in un luogo come l’Alaska, il gelo è un argomento piuttosto familiare. Dopo aver deciso di scrivere un libro sull’argomento, ho dovuto cercare l’approccio adeguato. E ho pensato che il modo migliore fosse raccontare storie di ampio respiro e interesse universale, così da catturare il più possibile l’attenzione dei lettori.
Che tipo di lettori ho avuto in mente? Chiunque abbia visitato un luogo freddo o stia pensando di farlo. Chiunque ami leggere, soprattutto libri di saggistica divulgativa. Chi avesse in mente un viaggio in Canada, Alaska o Norvegia, poi, sarebbe il mio lettore ideale.
Quali sono i riferimenti culturali (e gli eventuali precursori) che lei ha considerato per scrivere Gelo?
Lo stile – una narrazione un po’ a ruota libera e in prima persona – è ispirato a The Extinction Club di Robert Twigger (un libro scritto con piglio piuttosto eccentrico e dedicato alle specie in via di estinzione). Ho anche qualche debito verso altri maestri della prima persona, come Jonathan Raban, Paul Theroux e John McPhee, ma soprattutto (come molti altri autori) devo molto a Herman Melville. Senza dimenticare l’influenza di alcuni celebri resoconti di spedizioni verso il Polo – il diario di Scott, quello di Cherry-Garrard intitolato Il peggior viaggio del mondo, dedicato proprio alla missione di Scott, e i ricordi di Nansen (il grande esploratore norvegese vincitore del Nobel per la pace nel 1922). Ho cercato di combinare tutti questi apporti per creare qualcosa di nuovo, di accessibile e interessante. Ho tenuto in considerazione il fatto che oggi si vive in un mondo frenetico, con poco tempo per leggere e per farlo in modo continuo – il testo deve essere in grado di catturare l’attenzione anche quando le interruzioni della lettura sono frequenti.
Il suo libro mescola elementi storici e scientifici a considerazioni personali registrate “in presa diretta”. Si può dire che l’approccio diaristico prevalga su quello scientifico/informativo?
L’elemento diaristico permette ai lettori di entrare in relazione più stretta con il narratore, quasi come con un amico, quando questi cerca di comunicargli l’esperienza di incontri ravvicinati con il gelo, soprattutto se si tratta di momenti estremi come quelli che si vivino a -40°C o immergendosi nell’acqua del mare a una temperatura che supera di poco lo zero termico.
Credo però che l’aspetto più riuscito di Gelo sia il mix di informazione scientifica (storia, fisica e biologia, soprattutto) e di vissuto personale. Il successo finora ottenuto dal libro è dovuto, secondo me, a questo incontro tra gli aspetti rigorosi del mio mestiere di scienziato e quelli ludici, legati al piacere della lettura e della condivisione, almeno sulla carta, di alcune esperienze.
Quali insegnamenti si possono trarre dalla lettura del suo libro riguardo al rapporto uomo-ambiente?
Molti, di ogni tipo, sia scientifici sia filosofici, ma penso che la lezione principale sia questa: bisogna amare, rispettare e comprendere il mondo che ci ospita. In altri termini, dobbiamo imparare a vivere intensamente ma in modo responsabile, consapevoli di essere parte di un tutto.
Una domanda più vicina al senso comune (e ai timori del nostro tempo): pensa anche lei che per l’elemento freddo sia suonata l’ultima ora? O possiamo nutrire ancora qualche speranza...
Il pianeta si sta riscaldando, non c’è dubbio, e le emissioni del mondo industrializzato contribuiscono con ogni probabilità al processo. Si potrebbe tentare qualcosa per invertire la tendenza? Certo. Ma, d’altro canto, se sostenessimo gli immensi sacrifici richiesti dalla riduzione drastica dell’inquinamento termico saremmo certi di ridurre la temperatura sulla terra? Certamente no. Il clima è una questione molto complessa e piena di variabili indipendenti. Ciò significa che non ci è consentito stabilire un preciso nesso causale tra le nostre azioni e i fenomeni naturali, né fare previsioni certe sul futuro.
Non va dimenticato, inoltre, che l’emissione di gas serra non avviene senza uno scopo: nel mondo avanzato molto spesso si producono emissioni che definirei “di lusso” e delle quali si potrebbe fare a meno; nei paesi in via di sviluppo, così come per molti versi in Occidente, si emette anidride carbonica per attività indispensabili, come il trasporto del cibo e di beni di prima necessità. E ancora: non mi risulta che si sia trovato un carburante alternativo ai derivati del petrolio. Così, siamo in stallo. Tutto questo significa che per l’elemento freddo è suonata l’ultima ora? Beh, no. Vivremo ancora molti inverni gelidi nell’Artico e il ghiaccio continuerà a rinnovarsi a lungo. Non è il momento di vendere il cappotto.
A cura di Paolo Alessio