Quel paesaggio lontano
Il bisogno di viaggiare, la ricerca di quello straniamento, di quel momentaneo uscire da sé che il soggiorno in una camera d’albergo sconosciuta o la visione di un paesaggio inaspettato possono causare, fu una delle vere costanti della vita di Stefan Zweig. Già a partire dal 1902, prima della laurea in filosofia e della pubblicazione dei primi racconti, un ventunenne Zweig invia le sue cronache di viaggio a un giornale illustrato di Stoccarda: negli anni a venire continuerà a descrivere e documentare per quotidiani, riviste o piccoli libretti i suoi viaggi in paesi anche remoti come gli Stati Uniti, l’India o la Russia.
Rampollo di una famiglia viennese agiata e cosmopolita, scrittore di grande eleganza e torrenziale facilità, pacifista convinto e incrollabilmente fiducioso nell’appartenenza alla grande patria europea, Zweig continuerà infatti a viaggiare senza sosta fino ai suoi ultimi giorni, dapprima per diletto e formazione, via via per esigenza artistica e nevrotica, infine sospinto dai venti della storia. Diventa nel frattempo uno scrittore di inaudito successo per l’epoca, maestro riconosciuto della forma breve, della novella, della biografia letteraria e della cronaca di mondo.
Le sue pagine di viaggio si rivelano così il luogo migliore per osservare il lento maturare di una scrittura che da fiammeggiante e salottiera si fa gradualmente più asciutta, venandosi di inquietudine e, col tempo, di un’angoscia e di una amara nostalgia per la catastrofe a cui il suo “mondo di ieri” era andato furiosamente incontro.