Musica e Resistenza: la grande storia della nota che mancava
La forza d'animo di chi lotta per resistere, una grande avventura all'insegna del "Costi quel che costi": il nuovo, potente romanzo di Simone Saccucci.
Quando Marisa trova una valigia abbandonata nel bosco, vicino ad un camion saltato su una mina, non ci pensa due volte: la trascina fino al paese e di nascosto la apre. Al suo interno, miracolosamente funzionante, un organo portatile che lei impara in fretta a usare. È l’inverno del 1943, le truppe tedesche stanno perdendo il controllo del territorio e la guerra ha svuotato il villaggio di Marisa dagli uomini: con lei vivono le due sorelle Delia, attenta e materna, Argentina, ruvida e impulsiva. Quell’organo sembra ridare vita ai paesi della zona: la ragazza e il suo strumento, insieme all’amica Rossana con la zampogna, portano attimi di spensieratezza in quei luoghi tormentati. Ma un nuovo tragico incidente, dopo quello accaduto alla madre, toglie a Marisa la voglia di suonare e di lottare.
E poi c’è la faccenda del tasto rotto: all’organo manca una nota alla tastiera; pezzi di ricambio si potrebbero trovare in un santuario sul Monte Autore, a qualche giorno di cammino, ma raggiungerlo con i tedeschi a presidiarlo è a dir poco folle. “Non ci è rimasto che questo”, la sprona Argentina: e così Marisa parte alla volta del passo, trascinandosi lo strumento verso una meta difficilissima da raggiungere...
Simone Saccucci, al suo secondo romanzo, racconta una storia di piccoli eroismi ispirata alle narrazioni orali raccolte nei luoghi a lui cari. La nota che mancava è un inno a quei gesti che non cambiano la storia del mondo, ma quella di chi li vive sì, e per sempre. Emozioni e sentimenti avvolgono il paesaggio durante la Resistenza, tra paesi in cui la paura cede il posto alla necessità di vivere, di sorridere comunque, di tenere accesa quella fiamma vitale fatta di festa, di musica, di quotidiano.
Simone Saccucci è cantastorie, narratore, educatore. Lavora con le parole, la musica e il canto
soprattutto in territori periferici e collabora con enti pubblici e privati in Italia e all’estero. Tiene
seminari e laboratori in ambito universitario per educatori e insegnanti, utilizzando la narrazione
come mezzo d’espressione privilegiato.
La ragazza ritorna di buon mattino e noto che a differenza degli altri giorni ha qualcosa di diverso.
Sì, ecco, si è sistemata i capelli.
Si siede sulla panca che ha scovato il giorno prima e inizia subito a suonarmi.
I pedali vanno e cerca un ritmo costante premendo i miei tasti andando a trovare, mi sembra, una melodia, forse.
Mentre tenta di suonare, ogni tanto si deve fermare per toccare qual mio spazio vuoto, quel tasto che non c’è.
Suona e suona ancora perdendosi con lo sguardo negli angoli bui di questa casa e poi fuori, oltre la finestra, verso i resti della chiesa, pietre e legno sparsi qua e là.
Nel vicolo davanti a casa, mentre suoniamo, non passa nessuno. E se passa, va veloce. Non si ferma.
«E tu, che ci fai qua?», una voce alle nostre spalle fa sobbalzare la ragazza che si volta di scatto.
«Oddio, Rossana, m’hai fatto prendere un colpo.
«E questo? Dove l’hai trovato?»
«Io… l’ho trovato… giù alla macchia. Era caduto da una di quelle camionette che girano…»
«Lo sai che le sorelle tue s’arrabbiano se vai laggiù. No? Soprattutto Delia. Sai com’è fatta.»
«Sì, lo so.»
La ragazza abbassa lo sguardo su di me e la donna chiede: «Hai paura a portarlo a casa?».
Silenzio.
«Marisa, guardami un attimo. Hai paura a portarlo a casa?»
«Sì. Ho paura che non vogliono perché…»
«Perché ricordano…»
«Sì.»
«Sì, però non puoi stare qua. Sta arrivando l’inverno e se stai qua dentro t’ammali. Lo sai quant’è rigido l’inverno quando arriva quassù al paese.»
La donna riflette un po’ e Marisa mi accarezza delicata. Rossana la guarda un attimo.
«Ci parlo io con le tue sorelle. Che mi danno retta. Va bene?»
Marisa si alza e abbraccia Rossana. «Ti voglio bene.»
«Andiamo su. Come lo porti questo coso?»
«Così». E Marisa mi chiude e ridivento una valigia. Poi mi afferra per una delle due maniglie e inizia a trascinarmi.
«Pesa quest’affare! Dai, che ce ne sono due», e Rossana stringe l’altra maniglia. Insieme mi alzano e mi portano fuori con loro.