Quincy Jones e la forza di risollevarsi
Quincy Jones è il numero uno. Abel “The Weeknd” Tesfayne, che ha firmato la Prefazione a 12 Note. Sulla vita e la creatività, lo mette in chiaro già nel primo capoverso.
Per “Q” parlano settant’anni di carriera. Ha composto, arrangiato prodotto o orchestrato per le leggende della musica americana: Louis Armstrong, Ray Charles, Barbra Streisand, Stevie Wonder, Ella Fitzgerald, Miles Davis, Frank Sinatra, ¬Michael Jackson e tanti altri. Dal bebop al jazz, dalla bossa nova all’hip-hop fino alle colonne sonore per il cinema, non c’è stato stile o genere musicale in cui non si sia cimentato.
Tra i propri maestri ha avuto Nadia Boulanger, una delle più grandi insegnanti di composizione del XX secolo. Boulanger, che peraltro era stata la prima donna a dirigere la New York Philharmonic, gli diceva spesso «Quincy, ci sono solo dodici note. Finché Dio non ce ne darà tredici, voglio che tu conosca quello che hanno fatto tutti gli altri con quelle dodici». Lo studio di quelle dodici note ha fruttato a Quincy Jones 27 Grammy Award su 79 nomination, un Oscar e molti altri riconoscimenti.
Come si ottengono questi strabilianti risultati partendo dal South Side di Chicago, il ghetto nero più grande d’America negli anni della Depressione? Non esistono ricette o piani bell’e pronti, tuttavia, osserva Quincy, «mi piace pensare che questo libro sia per me la cosa che più si avvicina a una condivisione della mia “formula” personale». L’obbiettivo non è ovviamente insegnare agli altri come si vive e si lavora, ma condividere le lezioni imparate, i consigli ricevuti, gli errori commessi, i passaggi più importanti di «una vita ricca, piena di alti e bassi. Una vita con uno scopo».
E ricca e piena di alti e bassi la vita di Quincy Jones lo è davvero. Accanto ai trionfi e alla fama internazionale, infatti, non sono mancati i momenti terribili. Il libro ne affronta parecchi, senza reticenze, dalla malattia mentale della madre Sarah agli insuccessi professionali come la disastrosa tournée europea della big band messa insieme da Jones nel 1959, fino all'abuso di alcolici. Quella che colpisce, sempre, è la capacità dell'artista di «stabilire dei punti fermi» (è il titolo di una delle Note, la C - Do) sui quali costruire il riscatto.
L'esempio della tournée è emblematico. La big band di Quincy Jones era di valore assoluto e si proponeva di incantare l’Europa, Iniziata sotto ottimi auspici, l’impresa era andata però quasi subito in crisi, tra delusioni, mancati incassi e coincidenze sfortunate. In un piccolo albergo di Turku, in Finlandia, stremato e schiacciato dai debiti, Jones meditava seriamente il suicidio prima di sorprendersi a pregare e a ricordare le parole del padre: «Sei stato creato con uno scopo». Da lì la decisione di tenere duro, di fare un estremo tentativo di andare avanti, e la salvezza che si materializza grazie a Irving Green, il fondatore dell'etichetta Mercury Records, con cui Jones aveva pubblicato il disco Birth of a Band. L'assunzione alla Mercury propizierà il rilancio di Jones, che da A&R (artists and repertoire, una sorta di talent scout) diventerà il primo dirigente nero di una major discografica.
Non è questo, peraltro, il solo primato di Quincy Jones. È stato infatti, come ricorda lui stesso nella
Ecco, insomma, uno degli scopi della vita. Spostare avanti il limite, ampliare i campi del possibile: «Adesso, quando i ragazzini neri mi vedono candidato a un Oscar, sanno che si può fare». E vedere qualcuno o qualcosa è il primo passo per diventarlo.