Warren Ellis e il divenire delle cose
Il 1° luglio 1999 Nina Simone si esibì al Meltdown Festival di Londra, diretto da Nick Cave. Fu una serata inafferrabile ed epica, al termine della quale nessuno, né l’artista né tantomeno il pubblico, sarebbe più stato lo stesso. Tra la folla che assisteva al concerto, in quinta fila, sedeva Warren Ellis, il cui viso, ricorda Cave nell’Introduzione a Il chewingum di Nina Simone, era «sbigottito e ardente, come se fosse in un sogno».
E poi «Nina Simone si sedette allo Steinway. Si tolse un chewingum di bocca e lo appiccicò al pianoforte. Sollevò le braccia sopra la testa e, in un silenzio incantato, diede il via a quello che sarebbe stato il concerto più bello della mia vita – delle nostre vite – selvaggio e trascendente». Mentre faceva per andarsene Cave vide Ellis arrampicarsi verso il palco, con un’attitudine da posseduto: raggiunto il pianoforte, staccò il chewingum, lo avvolse nell’asciugamano lasciato lì dalla dottoressa Simone, infilò tutto in un sacchetto giallo della Tower Records e se lo portò via.
È questo l’episodio da cui prende avvio questo libro, ricchissimo di fotografie, di musica, di personaggi, di oggetti che si fanno memoria, stabiliscono legami, cambiano insieme alle persone che li posseggono.
Warren Ellis, partito da Ballarat, città mineraria non lontana da Melbourne, è un grande violinista e compositore che collabora con Nick Cave da trent’anni. Fin da bambino ha sviluppato un rapporto molto intenso con le cose: raccoglie per esempio contrappesi di piombo, di quelli fissati ai cerchioni delle automobili per equilibrarli, e li custodisce in una scatola di cartone nascosta sotto il letto, un vero e proprio scrigno del tesoro, che col tempo si riempie di fumetti, cianfrusaglie, accendini, orologi, figurine, cassette, temperini tascabili, tutti più o meno malconci o rotti. Anche il rapporto di Ellis con la pratica della musica, del resto, è iniziato da un ritrovamento casuale: una vecchia, sbuffante fisarmonica trovata in una discarica.
Non è difficile intuire, dunque, la portata che il chewingum ha avuto per Ellis nei venticinque anni trascorsi dalla notte del Meltdown. È stato custodito in una valigetta, poi in un angolo del salotto di Ellis, su un pianoforte verticale, poi in una cassettiera di legno, in soffitta. Con il passare del tempo ha cambiato aspetto e si è caricato di significati, diventando una specie di totem, una musa creativa, un elemento che deve esserci nei momenti importanti, qualcosa in grado di propiziare cose belle.
Fino al 2019, quando Nick Cave, che sta curando una mostra dedicata alla propria carriera e intitolata Stranger Than Kindness, chiede a Ellis se ci sia qualcosa che ha piacere di esporre. Ellis propone un vecchio violino, che ha anch’esso alle spalle una storia interessante, e il chewingum di Nina Simone. La conversazione, svoltasi via sms, è riportata nel libro. Cave stenta a credere che il chewingum sia ancora avvolto nell’asciugamano raccolto sul palco di Londra, ma è proprio così, e la cosa si può fare.
Il libro si sofferma a lungo sugli sviluppi tecnici dell’operazione, tra la comprensibile apprensione degli organizzatori, che si vedono affidare un autentico patrimonio, e la disponibilità curiosa e poi grata di Ellis. Certo, è terrorizzato che qualcosa vada storto, che la reliquia venga danneggiata o vada perduta nell’allestimento, ma il desiderio di condividere il chewingum, alla fine, prevale. E nel momento in cui realizza che il chewingum non è più nelle sue mani, che non ne ha più il controllo, Ellis si sente splendidamente, ha l’impressione che qualcosa di profondamente giusto sia avvenuto.
E poi si può sempre fare un calco della gomma, o tanti calchi: nella seconda parte del libro viene descritto accuratamente questo processo di riproduzione, con tutti i dettagli pratici e i significati simbolici.
Il chewingum di Nina Simone è dunque una storia di cose, di significati, di esperienze. Parla di un oggetto che cambia, che fa del bene alle persone, che contribuisce a scrivere la propria storia, una storia che viene riconfigurata e reimmaginata da chiunque la legga: «Più persone vengono coinvolte, più la storia cresce» conclude Ellis. «Mi sono reso conto delle narrazioni circolari all’interno della storia, che si chiudono come anelli. Infinite. Eterne. Questo libro è un inizio. Stiamo guardando i titoli di testa».