Coyote e Rodeo tornano in pista: alla ricerca del Posto Perfetto

Bambini e ragazzi

Coyote e Rodeo tornano in pista: alla ricerca del Posto Perfetto

Dopo l'imprevedibile viaggio che ha fatto innamorare i lettori, Coyote e Rodeo hanno messo radici nell'Oregon. Finché una nuova missione da compiere non li costringe a rimettersi on the road; solo che, ancora una volta, Rodeo non sa proprio tutto…

I dieci anni di D. sono pieni di dolcezza e di entusiasmo, ma anche di impegno. Allo scoccare delle vacanze estive, la aspetta infatti una vita a casa divisa tra l’effervescenza di una zia scoppiettante e la fatica di condividere la giornata con la mamma, che sta attraversando un momento molto difficile. Zia e nipote hanno un rapporto speciale, fatto di complicità rilassata e spirito di iniziativa: le loro attività si trasformano regolarmente in avventure, che si tratti mangiare un gelato o correre al mare, e il dialogo è ricco di battute e confidenze. Madou, dall’altra parte, è in balia dei propri fantasmi: incapace di reagire, lascia che sia D. a prendersi cura di lei. E così è la bambina a occuparsi di molte cose, dalla casa alla cucina alla spesa; per fortuna la zia, con la sua presenza costante, si fa punto di riferimento per la famiglia stimolando, pungolando, prendendosi carico della quotidianità di casa con vivacità e dedizione. Al rientro a scuola di D., il supporto si farà completo: mentre Madou starà via per qualche tempo, in un luogo dove farsi aiutare a sconfiggere i propri fantasmi, la nipote andrà a stare dalla scintillante zia in attesa di tornare ad essere un trio delle meraviglie, pronto a vivere nuove avventure.

In una originale struttura che ondeggia tra diario e graphic novel, Una zia davvero speciale racconta una storia importante e delicata. Lo fa tenendosi ad altezza di bambino, osservando e restituendo le situazioni complicate di una vita che, seppur in equilibrio molto precario, conservano una propria struggente dolcezza. Attraverso uno stile grafico scanzonato e a tratti quasi caricaturale, grazie a un linguaggio bambino e ricco di battute e giochi di parole, Duval e Constant possono scendere in campo senza timori nella battaglia quotidiana di una bambina che affronta la difficoltà di gestire una madre in depressione. L’impegno che D. mette nel cercare di aiutarla è un trionfo di tenerezza, il suo quotidiano arruffato è disseminato del suo meglio, ma su tutto spicca il messaggio di cura che la zia porta con dedizione nella casa della nipote. Ed è una cura fatta di mezzi e gesti concreti, ma anche di semplice umanità, di svago, di risate e di chiarimenti: sa sempre come spiegare a D. quale sia la situazione, cosa dovrebbe e non dovrebbe fare una bambina come lei, in cosa è stata brava e per cosa invece dovrebbe chiedere aiuto. 
Un libro che fa della delicatezza, e di un pizzico d’ironia, il mezzo con cui andare in profondità a problematiche importanti con onestà ma senza pietismo, mostrando più che raccontando, sedendosi a fianco più che ispezionando dall’alto. Ecco una vita, racconta Una zia davvero speciale, possibile e reale, fatta di fatiche, ma anche di bellezza e di possibilità.
 

 

Dan Gemeinhart è nato nel 1978 a Francoforte. Figlio di un militare dell’esercito americano, ha traslocato diverse volte durante l’infanzia, frequentando ogni anno una scuola diversa. Oggi vive con la moglie e le tre figlie in una piccola città nello stato di Washington, dove prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura ha fatto per tredici anni l’insegnante e il bibliotecario. Con L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2023 nella categoria 11+, il Premio La Storia Più Importante e il Premio Letteratura Ragazzi di Cento - 45a edizione.

Un estratto

Dunque, ecco a voi: c’era una volta una ragazzina, e quella ragazzina ero io, e quel giorno me ne stavo a ciondolare solitaria su un vecchio autobus, e morivo di noia.
L’autobus si chiamava Yager. Qualcuno dirà che non ha senso dare un nome a un autobus. Ma quel qualcuno di certo non ha avuto la possibilità di conoscere un autobus a fondo come è capitato a me.
Perché, cavolo, io e mio padre (che d’ora in avanti in linea di massima chiamerò Rodeo, visto che a lui piace così) su quel vecchio autobus ci abbiamo vissuto per cinque anni, dopo lo squarcio dell’universo. Avevamo tolto i sedili, tranne le prime due file, e montato un divano, qualche mensola e una megapoltrona che chiamavamo il Trono, il tutto fissato con dei bulloni. Avevo perfino la mia stanzetta, nella parte posteriore, completa di letto e con una tenda che faceva da porta. Era strambo, Yager. E fuori dagli schemi. E ovunque andassimo, si beccava un sacco di occhiatacce. Ma Yager era casa.
E anche se in realtà sono stata io che a un certo punto ho insistito perché la smettessimo con quella vita nomade, quando ci siamo trovati una sistemazione in una casa vera, cioè non corredata di ruote, finivo sempre per passare un sacco di tempo sopra quel vecchio scuolabus. Così alla fine ci ho fatto arrivare una prolunga e ho appeso una miriade di luci natalizie, che erano troppo carine, e Yager è diventato una specie di casa-lontano-da-casa. Anche se alla fine, se si considera che è parcheggiato lì di fronte, non è poi così lontano.
La domenica di marzo in cui ebbe inizio questa storia, io mi trovavo, appunto, su Yager, a leggere sul divano. Ivan, il mio gatto, mi si era acciambellato sul petto. Ogni tanto gli grattavo le orecchie e lui per tutta risposta faceva le fusa.
Scossi la testa e abbandonai il libro a terra, di fianco a me, schioccando la lingua per la delusione.
«Non ci siamo, amico mio» dissi. Ivan aprì gli occhi e guardò dritto dentro ai miei. Ivan è praticamente perfetto, in quasi ogni cosa. Ma la sua massima perfezione sta nella sua capacità di ascoltare. «Questo libro è caruccio» proseguii. «Non ha nulla che non va. Ma con tutti i libri pazzeschi che ci sono al mondo, mica posso perdere tempo con un libro caruccio. Giusto?»
Ivan mi rispose con uno sbadiglio di assenso.
Sospirai e mi guardai intorno. Sarebbe stata la giornata ideale per invitare un amico a bordo. Se solo, come dire... ce l’avessi avuto un amico. Gatto a parte. E io, gatto a parte, un amico non ce l’avevo.
Il mio sguardo vagò fino alla libreria di Rodeo. Mi scollai Ivan di dosso e andai a darci un’occhiata.
Mi misi in ginocchio e passai in rassegna i titoli, nella speranza che qualcosa mi sconfinferasse. C’era Il Piccolo Principe, che è un gran bel libro, ma l’ho letto e riletto un sacco di volte. Idem per Il vecchio e il mare e Io so perché canta l’uccello in gabbia. Ivan mi raggiunse e prese a strofinarsi contro il mio fianco, coda alta e dritta. Mi soffermai su una vecchia e malconcia edizione economica delle poesie di Kahlil Gibran. Ne avevo lette alcune in passato e non mi erano dispiaciute. Ma in quel momento non ero proprio in vena di poesia.
Decisi di dare comunque una sfogliata, ma quando allungai il braccio per prendere il volume Ivan mi urtò il go- mito con il muso, la mia mano fece un movimento brusco e invece di afferrare il libro lo spinsi giù. Finì, con un rumore sordo, nello spazio buio fra libreria e parete.
«Ecchecavolo!» dissi, girandomi di lato per infilare il braccio lì dietro. Tastai qua e là alla cieca. Ivan mi si avvicinò al viso facendo le fusa. «Tu stammi alla larga!» gli intimai.
Sfiorai quello che secondo me doveva essere per forza il dorso del libro. Cacciai fuori la lingua, mi allungai tutta e lo agguantai.
Ma l’oggetto che strinsi fra le dita non era un libro. Era qualcos’altro. Aveva sì gli angoli e i bordi duri, ma era più grosso e pesante di un libro. Serrai la presa e feci appena in tempo a sfilarlo da lì dietro, perché subito dopo mi scivolò di mano e finì a terra con un gran tonfo. Mi inginocchiai e avvicinai l’oggetto, osservandolo alla luce.
Era una scatola.