I due giardini di Alessandro Manzoni
I giardini degli scrittori è un vero e proprio giro del mondo sulle orme dei grandi della letteratura e degli spazi verdi che li hanno ispirati e che hanno segnato le loro vite. Protagonisti sono quaranta scrittrici e scrittori, ciascuno con il proprio approccio ai giardini, dai pragmatici ai contemplativi fino a chi, come Jean-Jacques Rousseau, non esitava a ridisegnarne le architetture.
Sono tutti posti visitabili, magari, come suggerisce l’autore Luca Bergamin, portando con sé un libro. A Milano se ne trovano due, appartenuti ad Alessandro Manzoni: il libro, in questo caso, è naturalmente I promessi sposi, nelle cui pagine emergono numerose prove della passione per la botanica nutrita dall’autore di uno dei capolavori della letteratura italiana.
L’interesse di Manzoni per fiori, piante e coltivazioni aveva origine, prima di tutto, nella storia personale dello scrittore, che apparteneva a una casata della nobiltà agraria lombarda proprietaria di decine di migliaia di ettari nei territori di Milano, Lodi e Lecco. A orientare questa passione sotto il profilo teorico era invece la cultura illuminista, che imponeva un approccio di impegno civile alle varie discipline, improntato alla ricerca di un utile che avesse valenza sociale più che personale.
Per Manzoni la botanica non era dunque un hobby, un passatempo da aristocratico annoiato, ma una passione di quelle che segnano una vita, un argomento con cui intrattenere amici e ospiti, un’attività da praticare direttamente senza trascurarne gli aspetti morali.
E proprio la pratica, il “fare”, era una componente fondamentale del suo approccio. Nelle pagine del libro, Bergamin divide gli scrittori a seconda della disposizione che avevano verso i giardini: ecco allora gli “idealizzatori”, gli “esteti”, gli “indifferenti apparenti”… Manzoni rientra a pieno titolo tra i “coltivatori”, dal momento che amava lavorare nei giardini, innestare polloni, innovare e sperimentare soluzioni esotiche, a volte temerarie, sempre con grande competenza e ottima manualità.
Uno degli spazi in cui Manzoni esercitò il proprio slancio botanico è dunque la casa milanese di via Gerolamo Morone 1, in pieno centro, a due passi dalla Scala e da Palazzo Belgioioso. Il giardino che lo scrittore promise alla moglie Enrichetta Blondel non ne fa più parte: è stato assorbito nella proprietà di Banca Intesa San Paolo, cui appartengono le attigue Gallerie d’Italia. Poco male, osserva Bergamin nel capitolo 6 de I giardini degli scrittori: «Quella che si può compiere nel cuore di Milano rappresenta un’esperienza non soltanto botanico-letteraria ma anche artistica poiché il rimando, scambio e interazione armoniosa tra capolavori ottocenteschi, opere contemporanee, piante e appunto scritti di Alessandro è continuo e penetrante».
Il giardino di Milano, di dimensioni contenute, non permetteva però a Manzoni di esprimere tutta la propria creatività. Ben diverse erano le potenzialità della residenza di Brusuglio, oggi nel comune di Cormano, che fa parte del comprensorio urbano del capoluogo. La villa appartenuta a Giulia Beccaria, madre dello scrittore, e il parco che la circonda vennero ristrutturati con l’attenta supervisione di Manzoni stesso.
«Sembra che Manzoni» racconta Bergamin «complessivamente abbia piantato poco meno di mille alberi, alcuni anche di origine sudamericana, perché, quando si alzava dalle sue carte poste sulla scrivania dello studiolo, avvertiva l’impellente bisogno fisico di rintanarsi nel boschetto dei tassi, camminare avanti e indietro nella tenuta quasi lambita dal fiume Seveso, appoggiare la schiena alla sua amata quercia dalla quale non si sarebbe mai staccato». Era quindi una specie di luogo dell’anima per Manzoni, che vi profondeva energie e vi trovava ispirazione: era disteso sotto una catalpa, per esempio, quando apprese della morte di Napoleone Bonaparte, e all’ombra di questo albero avrebbe scritto di getto Il cinque maggio.
Passeggiando nei due giardini, diversi ma non lontani, si può pensare allora a un Manzoni intento a fare ciò che amava, a mettere in pratica una passione che, come detto all’inizio, trova spazio in diversi brani dei Promessi Sposi, a partire da quelli conosciutissimi legati a Renzo, l’attraversamento dell’Adda dopo i tumulti di Milano e il ritorno al paese, nella vigna inselvatichita: in quest’ultimo passo la conoscenza botanica dell’autore dilaga e arriva a sfiorare il virtuosismo, tra radicchielle, acetoselle, panicastrelle e tante altre piante messe in fila con leggerezza affettuosa.
Più di due secoli sono trascorsi dai tempi in cui Manzoni prese a occuparsi di questi giardini, ma le magnolie, un salice, un tiglio, un grande platano sono ancora lì e possono evocare le stesse sensazioni vissute allora dallo scrittore, in modi diversi. «Se nel piccolo giardino di Milano» conclude Bergamin « l’impronta di Manzoni è lieve e difficile da riscontrare, a Brusuglio lo scrittore-giardiniere pare ancora essere assai presente tra quelli che furono i suoi alberi».