Kirsty Bell, testimone di una città
Un guasto, una perdita a un piano alto, l'acqua che filtra nei muri e forma una pozza sul pavimento della cucina di Kirsty Bell. Le correnti sotterranee comincia così, con una casa che, attraverso l'acqua, tenta di dire qualcosa.
L'autrice, inglese trapiantata da anni a Berlino, sta attraversando un momento molto difficile, che emerge fin dalle primissime battute: nella seconda pagina del libro si trovano parole come «infelicità», «vuoto», «frattura», «esplosione», «strappo». Quella pozza non è solo un incidente domestico più o meno banale. L'acqua che gocciola fuori dai tubi sembra piangere lacrime che appartengono all'edificio, è Berlino stessa che pare affacciarsi nella casa di Bell.
L'allagamento fa esplodere una crisi, e dalla contemplazione del proprio matrimonio che si sta sgretolando Bell passa all'azione: sente il bisogno di cercare notizie sui luoghi in cui vive, di ricostruire attraverso la storia della casa quella della città e di quanti l'hanno popolata prima di lei.
La casa si trova lungo il Landwehrkanal, nella parte occidentale della città, ma dista pochi metri dal confine lungo il quale passava il Muro e guarda verso est. È uno dei non molti edifici uscite più o meno indenni dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Costruita intorno al 1870, durante la fase di sviluppo economico e incontenibile frenesia edilizia conosciuta come Gründerzeit, è stata testimone di centocinquant'anni intensissimi di storia di Berlino, dal Reich guglielmino alla Repubblica di Weimar, dall’orrore del nazismo alla divisione postbellica, dalla Guerra fredda alla riunificazione.
Quella del «testimone» è una figura chiave del libro. La casa è una testimone immobile che guarda la città attraverso l'occhio aperto della finestra della cucina e prende vita attraverso le persone che l'hanno abitata. Bell assume lo stesso ruolo: «Registro i fatti come fossero prove per dare senso al visibile, a questa materia, per documentare quello che c’è qui. Ma anche per cercare di identificare quei fardelli e quei mormorii la cui presenza non può essere confermata dallo sguardo. Per individuare le forze ambigue che influenzano questo luogo».
Non è facile essere testimoni di questa città che sorge sulla sabbia, «materia molle e porosa che esercita una costante e leggera trazione verso il basso. Forse in tal modo si spiega la strana letargia che a volte aleggia sulla città. Una sensazione di inerzia collettiva». Il nome “Berlino” deriva dalla parola slava che significa “palude”, un ambiente che non gode di buona reputazione sotto l’aspetto pratico e simbolico. La palude nasconde, copre, talvolta rivela se stessa attraverso zaffate maleodoranti che Bell percepisce per le strade e nel bagno di casa. Suggerisce il ritorno spontaneo di qualcosa che avrebbe dovuto essere rimosso.
L’autrice però non si lascia scoraggiare. Fotografie, libri, documenti d'archivio, saggi, cronache, film: nessuno strumento di indagine viene trascurato. È un processo dinamico, in continua evoluzione e ridiscussione, pertanto c'è tantissimo movimento nel libro, in risposta all’inerzia di Berlino: l'andirivieni di Bell, a piedi o in bicicletta, attraverso i luoghi delle sue ricerche le permette di ricostruire il movimento della città avanti e indietro nel corso della storia. Anche la finestra della cucina coglie questo movimento, cattura singole immagini di una città in evoluzione.
Alla fine del libro Bell, che è entrata a far parte della storia ufficiale del palazzo sul Landwehrkanal, osserva come la casa, affidandole un progetto di ricerca e di racconto, le stesse al contempo consigliando di sfruttare la crisi personale come un’occasione per ridefinirsi, per accettare la complessità del reale: «La casa mi ha insegnato l’arte dell’abitare, sia in questo appartamento sia in questa città, in questa epoca, nel mio corpo, nella mia vita. Ricordandomi che con l’abitare viene la responsabilità: di essere testimone, documentare e agire».