La guerra non è logica: Paris France
La stesura della più recente Ancora EDT, per la cui copertina Carlo Stanga ha scelto il celebre ritratto che Pablo Picasso fece di Gertrude Stein, avvenne a Bilignin, il villaggio dell'Ain dove la scrittrice trascorreva lunghi periodi insieme ad Alice B. Toklas, segretaria e compagna inseparabile di tutta la vita.
È il settembre 1939 e la guerra sembra lontana nella campagna francese.
Eppure di guerra si parla da anni. Il Trattato di Versailles, che aveva chiuso il primo conflitto mondiale, era stato da più parti valutato come il prodromo di una inevitabile nuova catastrofe («questa non è una pace, è un armistizio per vent’anni», aveva detto il maresciallo Ferdinand Foch). E un anno prima, nel 1938, la guerra era sembrata a un passo prima che la Conferenza di Monaco sacrificasse la Cecoslovacchia e desse all’Europa l’illusione di altri pochi mesi di pace.
Ora Adolf Hitler ha invaso la Polonia e Francia e Inghilterra hanno inevitabilmente dichiarato guerra alla Germania. Intanto, però, nel paese si fa fatica a credere che ci sarà veramente una guerra. Mentre sul fronte polacco l’avanzata della Wehrmacht è inarrestabile, a occidente nulla sembra muoversi. Drôle de guerre, la chiamano, una guerra-farsa, strana, ferma, noiosa addirittura. È vero che, come osserva Stein, «i francesi davvero non credono che ci sia qualcosa d’importante eccetto la vita quotidiana e il suolo che gliela procura e la difesa dal nemico», ed è vero che il nemico è molto minaccioso e il suolo molto vulnerabile in quel settembre, ma lo stesso la guerra non ha una reale consistenza.
Un episodio straordinario della parte terza del libro ha per protagonista un vicino di casa della scrittrice, Monsieur Lambert. Appena richiamato, incontra Stein per la strada e assicura che la guerra non ci sarà perché «non è logico»:
«Vedete io ho quarantacinque anni, ho fatto tutta l’ultima guerra, mio figlio ha diciassette anni, saremmo lui ed io a fare questa guerra. non è logico Mademoiselle che a quarantacinque anni io che ho fatto la guerra, con un figlio di diciassette anni, debba credere a una guerra europea. Non è logico. Ora, disse, se io avessi sessant’anni e un nipote di diciassette, potremmo entrambi credere a una guerra europea e potrebbe esserci veramente una guerra ma io ho quarantacinque anni e mio figlio diciassette, no Mademoiselle. Non è logico. Ma, dissi io, questo vale per voi, i francesi, che sono un popolo logico, ma come la mettiamo con i tedeschi e gli italiani. Mademoiselle, disse lui, parlano un’altra lingua ma la pensano allo stesso modo. «Bene partì e nel giro di una decina di giorni fu di ritorno ed eccolo sulla strada con sua moglie e i suoi buoi, e io a passeggio con i miei cani lo incontrai. Gli dissi, Monsieur Lambert avevate ragione non c’è stata la guerra. no disse no Mademoiselle non sarebbe stato logico».
Tutto qui. Monsieur Lambert non dedica tante parole alla guerra, si limita a osservare che non è logica. Il suo auspicio non ha avuto una gran fortuna, quella guerra che sembrava non avere corpo né peso diventerà ferocemente reale nel maggio successivo, quando l’esercito tedesco scatenerà l’offensiva in Francia e arriverà a Parigi in cinque settimane, più o meno in concomitanza con l’uscita di questo libro.
Paris France potrebbe sembrare un libro sulla guerra. Avrebbe tutto per esserlo, il momento storico in cui è stato scritto, lo spazio che la guerra inevitabilmente vi trova, l’analisi che se ne fa nelle pagine sotto la lente di alcuni dei caratteri nazionali francesi, la funzione decisiva che riveste nell’evoluzione di un secolo, il ventesimo, che secondo Stein con la guerra diventa consapevole di sé e fa capire di essere lì, angosciato e sofferente.
Invece Paris France non è un libro sulla guerra. È un libro su un popolo civile in tutte le declinazioni del termine, che odia la guerra e che vi si piega per una cupa necessità, senza fare troppo rumore.