La musica del Delta
La storia del blues affonda le sue radici in un contesto di povertà estrema e di lotta per la sopravvivenza. I suoi primi eroi sono figure di cui si sa poco o nulla, esibizioni sorprendenti registrate da artisti provenienti dalle zone poverissime del Delta del Mississippi a partire dagli anni Venti del Novecento; ma è anche la storia di un genere musicale il cui successo divenne presto inarrestabile e globale.
Quello del musicista e musicologo Ted Gioia è un ritratto ampio e affascinante, che dettaglia non solo la vita e le opere di leggendari personaggi rurali come Charley Patton, Son House, Skip James e Robert Johnson, ma anche la fortuna di musicisti originari del Delta che hanno lanciato il blues elettrico sulle scene mondiali, come Muddy Waters, Howlin’ Wolf, John Lee Hooker e B. B. King, oltre a descrivere il blues revival degli anni Sessanta e la scena contemporanea del Delta fino agli anni Duemila.
Lo stile del racconto è uno dei maggiori punti di forza del libro: così come aveva fatto nella sua celebrata Storia del jazz, Gioia descrive gli ambienti geografici e sociali, indaga le parabole personali dei musicisti, dei produttori e persino dei ricercatori e musicologi, si addentra empaticamente nel racconto delle linee di sviluppo e nei contenuti letterari e sociali del blues. Riesce insomma lì dove molto spesso falliscono gli storici della musica, e cioè nel trasmettere un’idea della musica come parte di una vicenda tanto sociologica quanto personale, fatta di povertà e riscatto, di genialità e fallimenti, di meravigliosi momenti di espansione artistica e di tempi di decadenza.
Arricchiscono il volume una discografia selezionata (i 100 ascolti imprescindibili) e una bibliografia, a cui si aggiungono due mappe e un glossario realizzati appositamente per l’edizione italiana.
L’edizione italiana è curata, come i precedenti volumi di Gioia, dal musicologo, docente e divulgatore del jazz Francesco Martinelli, direttore del Centro Studi sul Jazz “Arrigo Polillo” di Siena.
Ted Gioia è uno dei più stimati storici e divulgatori del jazz della scena mondiale. Musicista, compositore e musicologo, ha scritto undici volumi dedicati al jazz, tradotti in numerose lingue. EDT, in collaborazione con Siena Jazz, ha pubblicato la sua Storia del jazz (2013), e Gli standard del jazz. Una guida al repertorio (2015).
Francesco Martinelli è impegnato fin dagli anni Settanta nella diffusione della cultura jazzistica in Italia come organizzatore di concerti, giornalista, saggista, traduttore, insegnante e conferenziere. Insegna Storia del Jazz presso la Siena Jazz University.
dal Capitolo I Il blues e gli antichi regni
Oggi, nel panorama del Delta l’occhio cerca invano un rilievo mentre raggiunge subito l’orizzonte praticamente in ogni direzione. Via via che il terreno veniva livellato, la stratificazione sociale si faceva di contro sempre più decisa. I dati del censimento del Mississippi prima della Guerra civile mostrano con evidenza la netta divisione razziale tra città e campagna.
I bianchi erano il doppio dei neri in città come Vicksburg e Natchez; ma nelle campagne attorno era l’opposto, specie nella regione del Delta, dove nel 1850 c’erano cinque schiavi per ogni bianco residente. Di conseguenza la vita degli schiavi raramente incrociava le varie esperienze della vita cittadina. Gli artigiani e i commercianti bianchi di città lavoravano attivamente per mantenere lo stato delle cose. Si ha memoria di come reagì un meccanico bianco a cui fu offerto l’aiuto di alcuni schiavi neri per sei anni, a condizione che insegnasse loro il mestiere: stizzito rispose che sarebbe morto di fame piuttosto che insegnare a un nero a fare il meccanico. E anche i pochi schiavi che trovarono posto nell’economia cittadina non riuscirono a mitigare questa profonda divisione tra città e campagna; essi tendevano infatti a restare separati dagli schiavi di campagna e da tutto quello che era legato alla vita nelle piantagioni.
Ma se la vita nelle città era dominata dalla struttura di potere dei bianchi, la pura e semplice forza dei numeri era sufficiente ad assicurare che il carattere culturale del Mississippi rurale fosse determinato dalla realtà dei neri. Né la repressione, né la frequente brutalità della vita quotidiana potevano impedire alla popolazione nera di dominare nel modo di fare musica, di raccontare storie, di esprimere i valori e le priorità della regione del Delta. L’emergere del blues dipese in larga misura, è lecito pensarlo, dalla pervasività della visione del mondo che avevano i neri e dal loro relativo isolamento dalle consuetudini della vita cittadina. Troviamo lo stesso fenomeno in altre parti del Nuovo mondo, a Bahia, a Haiti, in Giamaica, dove la popolazione nera ha raggiunto la massa critica necessaria a determinare la cultura locale, malgrado la terribile povertà e una generale inaccessibilità al progresso sociale o individuale. È interessante notare che queste condizioni hanno prodotto diverse tra le più vibranti tradizioni musicali degli ultimi cento anni. Se la musica fosse un bene d’uso, come oro o petrolio, queste economie povere potrebbero magari formare una opec della canzone, fissando prezzi da monopolio per il loro unico tesoro. Ma per come stanno le cose, queste ricchezze si sono diffuse liberamente, attraversando i confini senza essere fermate né da tasse né da dazi doganali, un regalo duty free per tutto il mondo.
Oggi il blues resta la più duratura eredità della regione del Delta, ancora poderosa quando ormai tanti altri sogni sono sfumati. La maggior parte del cotone ormai arriva dall’Asia: la Cina è il maggior produttore del mondo, mentre l’India ha superato gli Stati Uniti per produzione annuale, e presto potrebbe farlo anche il Pakistan. I coltivatori del Delta faticano a sopravvivere in questo mercato globale, e percentuali di disoccupazione a due cifre sono endemiche. Benché qualcuno auspichi il superamento delle difficoltà con il sopraggiungere dell’industria, la competizione internazionale rende assai remota questa prospettiva. In un ambiente così ostile, unica attrattiva è la promessa del turismo e dei suoi presunti facili guadagni, poiché in molti sarebbero disposti a pagare per scoprire quella che è pubblicizzata come “la terra dove è nato il blues”. Non tutti però condividono questo sogno. «A qualcuno di noi del Mississippi non piace essere associato così strettamente al blues», mi ha con dato un professore di musica in una delle università dello Stato. «La gente tende a pensare che qui non ci sia altro». E tuttavia la musica blues, così disprezzata nel passato dai padroni della regione, decennio dopo decennio ha assunto un profilo sempre più rilevante nell’identità e nell’economia della zona, ed è ormai arrivata a rappresentare il più promettente surrogato delle ricchezze che la terra non concede più liberamente.
Non possiamo dimostrare che il blues sia nato qui, malgrado le asserzioni dei depliant pubblicitari, anche se il Delta rivendica di avergli dato i natali con argomentazioni più forti di quelle di qualsiasi altra regione. In ogni caso qui la musica si è sviluppata con una speciale intensità che reclama la nostra attenzione e merita la nostra ammirazione. Il blues, per sua natura, è una musica ruvida e selvatica, con pochi abbellimenti, e così avviene soprattutto su questa terra. La musica qui non ha la levigatezza delle forme di blues di altre regioni – come il complesso virtuosismo del finger-picking nel blues del Piedmont, le raffiche di note staccate dei chitarristi di Chicago, o l’amichevole conversare dei cantanti del Texas – ma quanto a bruciante emozione, il blues del Delta non è secondo a nessuno. Se, come qualcuno sostiene, ci sono “blues” e “blues profondi”, una distinzione sul piano emotivo più facile a percepire che a definire, allora la varietà di blues che è nata in questa parte del mondo lascia pochi dubbi quanto al suo posto in graduatoria. Il blues del Delta possiede le radici più profonde di tutti.