Cina: una storia del presente
Il libro di Timothy Cheek si rivolge al lettore comune, prima che allo specialista. Il suo scopo è delineare un quadro il più possibile chiaro del "continente" Cina e degli "attori" impegnati nell'eterogenea società cinese. Ma è anche quello di ricordare alle democrazie occidentali, e quindi a tutti noi, la necessità di aiutare il grande paese a non andare incontro alla catastrofe ambientale.
Queste prospettive si ritrovano nell'intervista che abbiamo rivolto a Timothy Cheek per introdurci alla lettura.
Quali sono gli interrogativi di fondo a cui il suo libro cerca di rispondere?
Ho cercato di offrire al lettore comune un quadro intelligente di come funziona la Cina. Prima di arrivare a conclusioni semplicistiche sul boom della Cina, conviene chiarire alcuni aspetti sulla geografia, la demografia, le culture, le idee politiche e la storia recente del paese, tutti elementi che influenzano la vita e le aspettative delle persone che vivono in questo territorio sorprendentemente grande e vario.
Consiglio di pensare alla Cina più come a un continente che come a un paese. Con una superficie di 9 milioni di kmq, la Repubblica Popolare Cinese è estesa quasi quanto l'Europa allargata (circa 10 milioni di kmq) e, come è noto, la popolazione della Cina, con più di 1,2 miliardi di abitanti, è più del doppio di quella europea (480 milioni di persone). Un paese così vasto non può essere considerato un monolito, anche se fin troppi studiosi e giornalisti dicono questa è la Cina, come se più di un miliardo di individui marciassero in fila.
Nulla è più lontano dalla verità. La Cina è una realtà estremamente eterogenea, caratterizzata daun'ampia varietà di "attori sociali" che agiscono in modo quasi indipendente. Sarebbe opportuno per gli europei e i nordamericani identificare alcuni di questi "attori" e i loro interessi. Il mio libro aspira a fornire proprio questo tipo di indicazione.
Che tipo di regime è, oggi, quello cinese? Quali sviluppi bisogna attendersi sul piano della democrazia e del libero mercato?
La Cina non è una democrazia. Il Partito Comunista Cinese (PCC), alla guida del paese, sceglie i membri del governo attraverso una consultazione interna al Congresso Nazionale Popolare. Ma la Cina non è nemmeno una dittatura. Definirla tale significa abusare delle parole, perché non esiste un "dittatore" alla guida del paese.
Molti studiosi descrivono la natura del socialismo di stato della Cina di oggi come una forma di corporativismo politico finalizzato a conciliare diversi gruppi di interesse. Il sistema politico cinese, a differenza di quelli occidentali, non si fonda su libere e regolari elezioni dell'esecutivo. Il sistema legislativo, inoltre, non è basato su un ampio concorso dei cittadini.
L'aspetto più importante, dal mio punto di vista, è che in Cina esistono due tipi di governo: quello centrale di Pechino e i governi locali delle province. Questo aspetto è fondamentale, perché i governi locali spesso non tengono in alcuna considerazione le direttive di Pechino! Siamo abituati a pensare alla Cina come a un paese totalitario, ma in realtà i leader del PCC di Pechino non sono in grado di obbligare i governatori delle province ad attuare i loro ordini. Chi governa le province, d'altro canto, molto spesso non ha il controllo sulle decisioni assunte nelle città o nei distretti.
Di solito pensiamo che il Partito controlli tutto, quando in realtà non è in grado di esercitare un controllo effettivo sui propri funzionari a livello locale. Tra il governo centrale e le autorità locali esistono vere e proprie divergenze di vedute e di interesse.
I problemi di cui spesso sentiamo parlare in Occidente, come la violazione dei diritti umani o i rischi per l'ambiente, sono provocati da abusi dei governi locali. Così, quando si accusa Pechino o si cerca di negoziare con i suoi leader, molto spesso si prende un abbaglio o si perde tempo. Come suggerisco nella prefazione all'edizione italiana diVivere le riforme - La Cina dal 1989, noi occidentali dobbiamo fare lo sforzo di interagire con la Cina su due piani: prima in un rapporto diretto tra membri della società civile e poi in un rapporto tra i nostri governi e quello centrale di Pechino.