Il desiderio di sparire: Incorporea
Un romanzo struggente e sincero che affronta un tema importante e delicato, l’anoressia, con lucida intensità.
Jude sta per prendere un treno, è arrivato il “gran giorno”. Il tragitto verso la meta dura un’adolescenza intera, rivissuta nei propri pensieri durante il viaggio. Comincia con il dolore per la perdita del padre, sconfitto dalla depressione, che le lascia addosso un senso di colpa schiacciante. Prosegue in vacanza, nell’incontro con Jenny, una ragazza brillante, sportiva, sicura di sé almeno in apparenza. È tutto ciò che Jude desidera essere, insieme sono una coppia che sprizza scintille. Ma tanta luce nasconde un buio profondo: Jenny si sta consumando nell’anoressia; quando Jude corre in ospedale per l’ultimo saluto anche lei è ridotta come l’amica, mezza mela al giorno come unico pasto e tantissima attività fisica illudendosi di avere tutto sotto controllo. La bilancia è impietosa, lo specchio una distorsione della realtà, ma per lei ci sono ancora tempo e speranze: il dottor P. la aiuterà a ritrovarsi e ricominciare. Vicino a lei altre ragazze e altri ragazzi, nella medesima situazione; e oltre il muro della clinica, uno sconosciuto che ogni sera le dedica Hey Jude con la tromba, come se la conoscesse…
Incorporea apre uno squarcio lucido e profondo sui disturbi alimentari. Jude non ha problemi con il cibo in sé, ma con il fatto che nutrirsi è un’emanazione della felicità, e dunque un piacere che non si può concedere. L’importante per lei è controllare tutto, sentirsi raccolta, stretta a sé, e per riuscirci è disposta persino a sparire - e non in senso figurato. La barriera di rituali, sforzi e privazioni a cui si sottopone è la strategia che adotta contro la paura. Jude combatte il dolore con altro dolore: poco per volta respinge i sentimenti e le emozioni, e il cibo è solo un fronte di questa guerra diretta contro sé stessa, con l’illusione di annullare così anche i suoi problemi.
Grazie alla prosa scarna e affilata di Benedetta Bonfiglioli, assistiamo alla trasformazione di Jude in un riccio pungente, concentrato a respingere ogni attenzione affettiva da parte di chi cerca di salvarla. La madre e la nonna sono costrette a caricarsi sulle spalle, oltre al proprio dolore, quello della ragazza; e quando prendono coscienza che non basta, è troppo tardi: Jude è lontanissima, un’isola avvolta dal mare in burrasca. La soluzione è una rottura, quella che costringe Jude a un percorso di recupero, fatto di attenzioni e pazienza. La salvezza non passa direttamente dal piatto, ma dalla capacità di chi l’ha in cura di scalfirne la corazza di paure e schermaglie: solo allora il cibo, con la sua gioia, potrà tornare.
Non è un viaggio che si conclude sempre bene, purtroppo, ci sarà chi non ce la farà. Ma non mancherà mai la speranza di salvarsi, anche per chi non riesce a vederla. Jude sarà un modello prezioso, con il suo percorso tormentato ma destinato a uscire dal buio.
Benedetta Bonfiglioli insegna letteratura inglese in una scuola superiore e scrive youth fiction, perché l’adolescenza è una dimensione in cui dimora volentieri. Con il suo ultimo libro, Senza una buona ragione (Pelledoca), ha vinto il Premio Andersen 2021 nella categoria “Miglior romanzo sopra i 15 anni” ed è stato finalista al premio Mare di Libri.
1.
Chi decide per noi se oggi saremo felici?
Le stelle?
Il sole o la pioggia, le cose da dire, se farà freddo o buio
presto, se avremo tanto da fare o se è mercoledì ed è il giorno della pizza in mensa? O forse saranno le persone che incontriamo, l’amore che riceveremo e quello che daremo, gli amici, mia madre, un barista gentile, sconosciuti che ci salutano sul marciapiedi e magari sorridono senza che ce lo meritiamo. C’è qualcuno che oggi sarà felice per aver incontrato me?
Una volta l’ho chiesto al mio terapeuta, crede che una come me possa amare, dottor P.? Senza fare del male a nessuno, intendo, senza ustionare, con quello che sono, con quello che non so essere, e lui mi ha detto nessuno sa amare senza fare male, Jude.
Nemmeno i sani? Nemmeno i sani.
2.
Oggi è il grande giorno.
Spengo la sveglia dieci minuti prima che suoni, non so bene se scavare una buca e nascondermi o saltare giù dal letto e decidere di avere coraggio, è il 16 giugno, cerco la voce di mia madre nella mia testa, sarà una giornata bellissima, Jude, il suo sguardo sulla vita e sul futuro è una delle cose che vorrei, insieme alla pace nel mondo e alla neve a Natale.
Preparo il caffè nella mia minuscola cucina, prendo dal pacco in dispensa quattro biscotti integrali, non tre e non cinque, mangio la mia colazione sempre uguale stando in piedi e contando fino a dieci mentre mastico ogni boccone, mando giù tutto con una tazza di caffè nero e due bicchieri d’acqua frizzante che mi spaccano lo stomaco come il pepe e la birra che non bevo mai. Mentre si scalda l’acqua della doccia sciacquo la tazza, tolgo ogni briciola, ogni traccia, sbircio fuori dagli scuri accostati e vedo che il sole splende sulla piazza di sanpietrini e vetrine che piano piano si sta svegliando; intravedo la vecchietta con la scopa che litiga con i tigli tutto l’anno, quando cadono le foglie, quando cadono i semi, quando non cade nulla e allora lei si aggira delusa a caccia di mozziconi e cartacce. Ognuno ha le sue manie, il suo modo di stare in equilibrio, qualcuno ci riesce stando fermo e quieto, come mia madre, qualcun altro muovendosi marziale e organizzato, come mia nonna, i più si agitano e annaspano, travolgendo chi è troppo vicino, come la coda di una stella cadente. Come me.
In bagno do le spalle allo specchio e lascio la biancheria sul pavimento, il box è già appannato, entro e scivolo sotto il getto acuminato. L’acqua mi copre del tutto, scivola sulla mia testa rasata lungo le guance, il mento, le spalle, la schiena, come ferri da calza smussati accarezza costole e scapole, il bacino, le ginocchia. A occhi chiusi pesco dalla mensola il sapone al limone e lo passo sul mio corpo con gesti veloci e precisi, mi sciacquo con due piroette ed esco in una nuvola di vapore. Sparisco nel mio accappatoio blu e mi siedo rannicchiata sulla tazza, chissà cosa mi aspetta, chissà come andrà, chissà chissà, è ora di muoversi o rischio di perdere il treno. Apro la finestra per far uscire il vapore, in camera rifaccio il letto con cura, apro circospetta l’armadio che mi sorride con le mie poche cose ordinate per colore, pesco sul fondo il mio minuscolo trolley e lo apro sul letto, controllo per l’ennesima volta le previsioni del tempo che dicono caldo e sole e stelle stasera, ma è più forte di me, e se poi si sbagliano? Metto nel trolley il vestito che ho comprato per l’occasione e due paia di pantaloni di riserva, due camicie, una giacca, un paio di scarpe in più che non si sa mai, un cambio di biancheria, meglio due, la bustina del trucco e faccio scorrere la zip. Infilo un paio di jeans e una maglietta nera, in bagno il vapore si è dissolto, passo una mano sullo specchio e trovo la mia faccia, niente capelli, gli occhi verdi resi ancora più grandi dalle guance scavate e dal naso a punta, la bocca piccola che sorride poco ma ne è capace, gliel’ho visto fare, credo che succederà anche oggi.
Controllo di aver chiuso tutte le finestre, afferro il trolley e il mio zaino, faccio un bel respiro e vado a prendere il treno.
Oggi è il grande giorno.