Isole, il sogno di un mondo a sé

Saggi e narrazioni

Isole, il sogno di un mondo a sé

Attingendo ai ricordi dei viaggi che in trent'anni lo hanno portato dalle isole Faroe all'Egeo, dalle Galapagos alle Andamane, e mescolandoli alla psicologia, alla filosofia e ai grandi viaggi della letteratura e della storia, Gavin Francis si mette sulle tracce del mistero della passione umana per la terra oltre la terraferma: nessuna ambizione di risolverlo, quanto piuttosto di celebrarne ancora una volta il fascino senza tempo.

 

L’«isolofilo» Gavin Francis, come quasi tutti i grandi viaggiatori, è partito da bambino alla scoperta del mondo sugli atlanti sfogliati in biblioteca, affascinato dai tratti, dai colori, dai nomi esotici di città e paesi lontani. La carta geografica è uno strumento un po’ magico, non si limita a dare conto di un luogo, ma lo influenza, ne cerca l’essenza, esercita un potere. Circoscrive un perimetro, racconta alcuni aspetti della superficie che vi è contenuta, ma il resto è nell’immaginazione di chi guarda, che si tratti di una vecchia mappa o di una dettagliatissima carta moderna, per tracciare la quale la presenza fisica del cartografo sul posto non è nemmeno più indispensabile.
Francis ha poi avuto modo di vedere molti dei posti che lo avevano incuriosito da bambino e ha trovato conferma del proprio amore per le isole, luoghi in cui ci si può rifugiare dalle esasperazioni della civiltà, dimensioni in cui la natura può mostrarsi qual è e svelare i propri segreti: è alle Isole Galápagos che Darwin raccolse gli elementi per rivoluzionare la storia della specie umana, negli anni in cui il suo contemporaneo Karl Marx descriveva il mondo globalizzato in cui un secolo e mezzo dopo ci saremmo trovati a vivere.

Viviamo in un momento storico in cui il mondo non ha più angoli che l’uomo non abbia visto e riprodotto sulle carte geografiche – una condizione del tutto nuova: ancora meno di cento anni fa c’era un continente intero, l’Antartide, pressoché inesplorato, e il Polo Sud non era stato ancora raggiunto. Le distanze si contraggono e la tecnologia rende le connessioni possibili praticamente sempre e ovunque, e per questo quasi obbligatorie. È inevitabile dunque domandarsi quanto spazio esista ancora per l’isolamento, e come esso sia praticabile e compatibile con una vita considerata “normale”. 

La relazione, conflittuale e dialettica, tra isolamento e connessione è uno dei temi centrali di Isole. Cartografia di un sogno. Le origini etimologiche del termine island richiamano tutte quante la presenza dell’acqua o di un luogo circondato dall’acqua; la parola connection, affermatasi all’epoca delle grandi esplorazioni geografiche, significa letteralmente “legare insieme”. Due concetti opposti ma speculari, che traggono senso uno dall’altro. Su Gavin Francis, medico di professione, l’isolamento ha effetti benefici e terapeutici, ma non abbastanza da spingerlo a negare l’importanza delle connessioni. Si tratta dunque di cercare di combinare i due elementi, di conciliare i due poli. 

Francis, come racconta nel libro, ci prova da anni, sia attraverso i viaggi e i soggiorni insulari in tutto il mondo, sia con l’aiuto degli scrittori che ama: i libri, infatti, sono per lui «come isole portatili perché ci garantiscono una sorta di isolamento dal mondo circostante, offrono un riparo dalle necessità contingenti e spazio per la contemplazione». La letteratura, del resto, coltiva da sempre una vera ossessione per le isole e l’isolamento. Le pagine di Isole sono fittissime di riferimenti letterari, da Odisseo che si spinge oltre le Colonne d’Ercole a Marco Aurelio che riflette sulle relazioni tra tutti gli elementi dell’universo, da Rousseau felice della sua vita semplice sull’Isola di San Pietro a Montaigne per cui la città e le sue connessioni hanno il grande merito di «sfregare e limare il nostro cervello» con le idee degli altri.

Non si tratta di abbracciare uno dei due partiti e di abbandonare l’altro. Ciascuno ha molte cose importanti da offrire, come ricorda Francis: «Da un lato c’era l’immersione nella pratica medica con la sua intensità, l’impegno sociale, il suo posto a bordo ring rispetto all’animazione e allo splendore dell’umanità, dall’altro i periodi trascorsi sulle isole e il viaggio al Polo con la distanza e la prospettiva che garantivano, l’opportunità di sentirsi parte di un mondo in qualche modo svuotato dell’umano, colmo di silenzio e di spazio da dedicare alla contemplazione». È stato molto più saggio di Alexander Selkirk, che nel 1704 venne abbandonato su un’isola del Pacifico, vi trascorse quattro anni e quando si riaffacciò alla civiltà abbandonò una moglie e poi un’altra perché si rese conto di essere innamorato del mare. Insieme alla propria famiglia, Francis ha qualche volta l’impressione «di non essermi avvicinato alla soluzione del dilemma: tira e molla, città e isola, il fiume impetuoso della vita in ambulatorio, la sua serenità durante l’isolamento.
Ma c’è tempo».

La ricerca non finisce mai. 

(Stefano Cena)
 

 

Gavin Francis, medico, scrittore e viaggiatore, è nato nel 1975 a Fife, in Scozia. È autore di libri premiati e tradotti in tutto il mondo, fra cui Avventure nell’essere umano (EDT 2016), oggi diffuso in 18 lingue, e Mutanti (EDT 2018). È anche autore di True North e Empire Antartica, volumi in cui racconta la sua esperienza di medico nelle missioni polari. Collabora regolarmente con il «Guardian», il «Times» e la «London Review of Books». Vive e lavora come medico a Edimburgo.

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Un estratto dal capitolo Riverenza, trasformazione

Il viaggio su un’isola rappresenta talvolta un banco di prova per i giovani, il catalizzatore di una trasformazione, la levatrice che conduce alla maturità. Helen Dunmore, nel suo saggio sul romanzo Al faro di Virginia Woolf, scrive: A sei anni James odia il padre almeno quanto ama la madre. Soltanto la ferita provocata da un attizzatoio o da una coltellata al cuore di Mr Ramsay ne allevierà la rabbiosa umiliazione. James alimenta quell’odio per dieci anni e, quando infine si svolge la gita al faro, sembra che colga l’occasione per arrivare allo scontro con il padre.

 

Il faro fittizio di Woolf si trovava al largo di Skye ma si ispirava a quello sull’isola di Godrevy, davanti alla costa settentrionale della Cornovaglia, ben visibile dalla casa che la scrittrice frequentava da bambina durante le vacanze. Forse proprio in Cornovaglia, Woolf lesse per la prima volta Robinson Crusoe di Defoe, di cui avrebbe scritto: Scavare, cuocere al forno, piantare, costruire: quanta serietà in queste semplici occupazioni. Accette, forbici, tronchi d’albero, scuri: quanta bellezza in questi semplici attrezzi.

 

È forse questo il pregio delle isole, il fatto che rendono le cose più semplici?

 

In Lettere dall’Islanda Louis MacNeice scriveva di quanto fosse felice di essere approdato al Nord, in fuga da quelli che considerava i “crudeli orologi” meridionali e l’eccesso di libri, cuscini e strilloni per le strade. Nel monastico isolamento dell’Islanda sperava di raggiungere un certo grado di libertà dalle imboscate del sesso e la spinta a ritrovare un significato nella fiumana dei passanti.

 

“Ritrovare un significato nella fiumana dei passanti” è un’idea che riassume piuttosto bene le soddisfazioni derivanti dalla pratica medica. William Carlos Williams ha scritto del piacere che traeva dall’intima connessione con le vite degli altri facendo il medico. Non ero forse interessato all’uomo?, ha scritto. Ed eccolo lì, proprio di fronte a me.

 

André Malraux, scrittore, avventuriero e combattente nella Resistenza francese, riferisce in Antimemorie ciò che un prete ritiene di avere appreso da una vita trascorsa ad ascoltare confessioni (ed è un giudizio che un medico avrebbe potuto esprimere altrettanto facilmente).

 

«Prima di tutto la gente è molto più infelice che non si creda… e poi…» Alzò le braccia da taglialegna nella notte piena di stelle. «E poi, in fondo in fondo, la verità è che non ci sono persone adulte…»

 

Uno dei miei maestri per cui una volta ho lavorato nelle Highlands scozzesi mi ha confidato: Per lavorare su un’isola non è necessario essere speciali, bisogna semplicemente che tu sia molto bravo.

 

Winnicott riteneva che per attraversare il banco di prova dell’adolescenza, per sradicare quegli elementi del sé infantile che è necessario abbandonare, temprandone altri nel passaggio alla stabilità dell’identità adulta, fosse importante coltivare il senso dell’isolamento; e tuttavia, in un mondo in cui qualunque adolescente possiede uno smartphone, non è chiaro quale possa essere questo isolamento.

 

Adesso lavoro raramente in ospedale, la maggior parte della mia pratica medica si svolge in un piccolo ambulatorio non lontano dal centro di Edimburgo. Nel corso degli ultimi dieci anni, man mano che aumentava la connettività informatica, è cresciuta di pari passo la frequenza con cui osservo adolescenti affetti da ansia a livelli clinici. L’utilizzo dei social media rivela in misura sempre maggiore che un’eccessiva connessione con la vita degli altri comporta dei rischi.